Un cartello composto dalle più importanti ditte di manutenzione e armamento ferroviario del Bel Paese in combutta con gruppi di ‘ndrangheta attivi tra il Veneto, la Lombardia e il Crotonese. Questo il quadro che esce dalla più importante inchiesta degli ultimi anni sui rapporti tra mafie e imprenditoria a livello nazionale. Alle 41 persone indagate in questa inchiesta della procura antimafia di Milano viene notificato in questi giorni l’avviso di conclusione indagini. Gli indagati devono rispondere, a vario titolo, di associazione a delinquere di stampo mafioso, distruzione di documenti contabili, riciclaggio, ricettazione e bancarotta fraudolenta.
L’inchiesta ha visto coinvolti imprenditori di primissimo piano nel settore come Edoardo ed Alessandro Rossi della Gcf di Roma, i trevigiani Andrea e Luigi Cenedese e Maria Antonietta Ventura, presidente del Gruppo Ventura che con questa inchiesta si è giocata la candidatura da parte del centrosinistra alla presidenza della Regione Calabria.
Gruppi imprenditoriali – oltre a quelle già citate la Gefer srl, Armafer spa, Globalfer spa, Salcef spa, Fersalento srl, Euroferroviaria spa – che potevano contare da una parte su una sorta di monopolio degli appalti di Rete Ferroviaria Italiana e dall’altra sui servizi illegali apparecchiati dalla miriade di ditte delle famiglie Aloisio, di Varese, e Giardino, di Verona, le quali farebbero riferimento alla ‘ndrangheta crotonese. Le ditte degli Aloisio e dei Giardino, attraverso accordi di distacco di manodopera, mettevano a disposizione squadre di operai che lavoravano “in condizioni disumane”. “Qualsiasi protesta o rivendicazione operaia” veniva “spenta” utilizzando “il cosiddetto metodo mafioso”. Inoltre il meccanismo delle fatturazioni false garantiva a tutti i contraenti importanti riserve di denaro grazie anche alla maturazione di fittizi crediti con l’erario.
Una vera e propria manna per gli imprenditori che, secondo l’accusa, si interessavano che il meccanismo messo in moto non si inceppasse grazie alla costituzione di nuove società in grado di ottenere le certificazioni antimafia e dribblare le ispezioni fiscali.
Un affare che ha creato anche un certo sommovimento, e più di qualche malumore, all’interno dell’universo criminale, visto che i protagonisti – gli Aloisio e i Giardino – risultavano famiglie periferiche rispetto alla gerarchia ‘ndranghetista. Nondimeno le due famiglie erano riuscite ad attingere – grazie ai rapporti con i vertici della Gcf di Roma mediati da imprenditori e politici veronesi – ad un business che gli permetteva di procacciarsi importanti risorse e riciclarne altrettante, oltre a procurare lavoro a disoccupati di Isola Capo Rizzuto. Un modo quest’ultimo per consolidare una sorta di welfare criminale e di consenso nella società locale.
A confermare come i lavori ferroviari rimangano nell’occhio del ciclone, la firma, ieri 7 luglio, dei Protocolli di legalità tra la Prefettura di Verona, Rete Ferroviaria Italiana (Rfi) e i sindacati per gli interventi riguardanti le opere dell’Alta velocità relative al nodo di Verona est e ovest.
Si cercherebbe insomma di evitare quello che è già avvenuto in Lombardia dove gli investigatori scrivono che “il sistema per chiamata diretta per l’esecuzione dei lavori di movimento terra nei cantieri dell’Alta velocità nella zona di Cassano d’Adda, di Melzo e dell’hinterland milanese fosse egemonizzato dalle cosche calabresi dei Nicoscia, Arena, Perre e Barbaro, sotto la regia di tale ultima cosca”. L’importo complessivo dei lavori dell’Alta Velocità per il nodo di Verona è di 800 milioni e la conclusione è prevista “entro il 2030”.