Chi si somiglia si prende

“Chi si somiglia si prende” si dice, ma il detto non sempre vale. Vito Nicastri, imprenditore siciliano attivo nel settore dell’energia eolica, a processo per concorso esterno in associazione mafiosa, accusato di essere tra i finanziatori della latitanza di Matteo Messina Denaro, e un gruppo di imprenditori veneti, anch’essi attivi nelle energie rinnovabili, con ottimi contatti con il mondo bancario e professionale veneto, non si somigliano per nulla. Eppure si “prendono”, o meglio si son presi, se è vero, come è vero, che gli imprenditori in questione, come certificano carte giudiziarie e documenti bancari sono stati per anni importanti partner commerciali del Nicastri.

Nicastri è la rappresentazione nitida di quella borghesia mafiosa, categoria messa a punto dalla studioso siciliano Umberto Santino e opportunamente citata in questi giorni dal procuratore Maurizio de Lucia, in grado di triangolare affari anche con le cosche mafiose, così come brandire la bandiera dell’antimafia – rinnegando l’origine dell’accumulazione originaria sortita dalle esplicite pratiche criminali – una volta circoscritto lo stigma mafioso alle eterne classi “pericolose”, i soldati delle cosche, i manovali del racket, divenuti inutilizzabili per qualsiasi progetto economico-politico. Nicastri, leggiamo in una delle interdittive antimafia che hanno colpito le sue imprese, funge da “cerniera fra la ipocrita imprenditoria delle grandi imprese ed il mondo sporco della corruzione”. L’imprenditore di Alcamo inventa la figura del “facilitatore”, avvia le pratiche per l’insediamento delle pale eoliche, individua i terreni, convince chi deve autorizzare, predispone ogni cosa per il progetto possa partire.

La rete di Nicastri, comprensiva dei nostri imprenditori, è pronta ad intercettare i finanziamenti statali una volta adoperatesi per far partire i suoi progetti. Come ha avuto modo di raccontare, intercettato: “il bello di vivere qua, senti il territorio, lo percepisci, avverti che bisogna muoversi in un certo modo, capire le esigenze del Sindaco, dei consiglieri, la festa, cinquemila euro sono minchiate, però tu ti fai ah un rapporto, crei un rapporto di..”. È la filosofia de “è così che funziona”, straordinaria fucina di rassegnazione e conformistica sottomissione.

Anche al Nordest, spesso, “è così che funziona”: le cene appartate per gestire gli imprevisti, gli accordi sottobanco per spartire le provvidenze, la strutturazione di compatte reti di complicità. L’accumulazione originaria del Nordest non viene certo nascosta, piuttosto idealizzata e poi dilapidata nello stringente obbligatorietà delle relazioni (vedasi alla voce banche popolari) risorsa divenuta più preziosa della produzione.

Nel comprendere il tormentato rapporto nord-sud andrebbe messo in conto anche il filo di lana delle relazioni tra diversi, il “prendersi” tra esponenti della borghesia mafiosa, da una parte, e capitani dell’imprenditoria delle relazioni, dall’altra. Dell’impastarsi, a nord come a sud, di nuove modalità di creare ricchezza a valle delle provvidenze pubbliche e nel mezzo delle reti dei favori. Ci aiuterebbe ad abbandonare le lenti dell’esotismo nel leggere quello che accade in Sicilia. Con buona pace della rivendicata “secessione dei ricchi”, ci riguarda in realtà molto da vicino.

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