Il mercato e la violenza mafiosa

Quindi alla fin fine pure sparano, minacciano, picchiano come apprendiamo leggendo le carte della recente inchiesta della procura di Venezia. Le mafie “silenti” tanto silenti non sembrano essere, non hanno sostituito del tutto il click del computer e dello spazio etereo della finanza con il greve click della pistola. Alla violenza sembra impossibile rinunciare anche se rimane, per loro, molto pericolosa in termini di clamore suscitato e di repressione subita. D’altronde la violenza della mafia non è distruttiva, fine a sé stessa, ma rappresenta invece, tra le altre cose, un modo per crearsi una reputazione, uno spazio nel mercato, una certa credibilità. D’altronde finché la domanda c’è, anche nella società evoluta delle buone maniere, ci sarà anche un’offerta.

È uno tra i servizi, quello dell’esercizio della violenza, che i gruppi mafiosi mettono a disposizione di pezzi dell’imprenditoria regionale e che si intreccia con gli altri – fatturazione falsa, certificazioni taroccate, rifiuti, fornitura e disciplinamento della manodopera – divenendo, parafrasando il celebre aforisma, il prolungamento degli affari con altri mezzi.

Anche qui, in minuscole proporzioni, possiamo trovare la smentita della celebre tesi per cui gli affari sarebbero un mezzo per contenere la violenza, con il temperare delle infuocate passioni della cavalleria con i tiepidi interessi della borghesia mercantile come argomentò in un celebre trattato l’economista Albert Hirschman. In realtà anche nel mercato la violenza può tornare utile, soprattutto la sua promessa. Serve per punire atteggiamenti dannosi per il buon proseguimento degli affari come lo scavo nella realtà, coma nel caso del giornalista Ario Gervasutti, o la difesa dei diritti dei lavoratori, come nel caso del sindacalista Gianmassimo Stizzoli.

Sarebbe interessante capire meglio come l’incontro tra i manovali della violenza e chi la commissiona possa avvenire. L’imprenditore ed ex senatore Alberto Filippi – seguendo l’ipotesi accusatoria della Procura, contro la quale ovviamente ci saranno tesi difensive – come potrebbe aver conosciuto il criminale Santino Mercurio? In quali ambienti di questa regione si connetterebbero i mondi e come avverrebbero le connessioni? Da chi e in che modo potrebbe aver avuto rassicurazioni sulla sua “professionalità” e riservatezza? Lo stesso potremmo chiederci per Alfredo Finzi che i servigi – leggi pestaggio – ai mafiosi li avrebbe chiesti per zittire il sindacalista scomodo Gianmassimo Stizzoli che reclamava diritti dei lavoratori della Vierrecoop.

Notiamo, di sfuggita, come entrambi abbiano frequentato la politica. Frinzi nominato consigliere d’amministrazione, sindaco Flavio Tosi, dell’azienda del trasporto pubblico veronese; e Filippi esponente della Lega.

L’episodio del pestaggio del sindacalista, in particolare, era già emerso nell’inchiesta Taurus che di quest’ultima inchiesta è la progenitrice. Ma l’episodio segnala ancora una volta la centralità della gestione della manodopera nelle strategie criminali.

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