Era stata prosciolta dalle accuse, Francesca Zaccariotto – all’epoca dei fatti contestati sindaco di San Donà di Piave -, ma la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso presentato dai pubblici ministeri Carlotta Franceschetti e Walter Ignazitto (ora trasferito a Reggio Calabria), annullando il non luogo a procedere perché il fatto non sussiste a favore della Zaccariotto.
La vicenda nasce un anno fa da una inchiesta per un traffico di droga, compiuta dai carabinieri di Venezia che aveva arrestato dieci persone accusate di acquistare sostanze stupefacenti a Milano, da una famiglia di ‘ndrangheta, per poi smerciarle nel nordest. Tra queste anche Luciano Maritan, detto Cianetto, figura storica della malavita del Veneto orientale, nipote di Silvano Maritan, “colonnello” dell’ex boss della Mala del Brenta Felice Maniero.
Nel corso dell’inchiesta il collaboratore di giustizia Luca Fregonese aveva riferito ai magistrati la confidenza che gli avrebbe fatto Maritan e cioè che la Zaccariotto, che conoscerebbe da anni, lo avrebbe aiutato assumendolo come guardia parchi. Nei guai, oltre la Zaccariotto, è finita anche la dirigente della Provincia Eugenia Candosin che sarebbe stata indotta dall’allora sindaco ad affidare quel lavoro di guardiaparchi al boss della malavita locale.
Le imputazioni sono di concorso in abuso d’ufficio per la Zaccariotto, mentre per la dirigente comunale si aggiunge quella di falso ideologico. La difesa ha negato l’accusa, sostenendo che la lista di nomi non fosse una graduatoria ma un semplice elenco di “candidabili” alla posizione. Ad aggravare la posizione della politica leghista ci sarebbe anche una conversazione telefonica intercettata dagli inquirenti, in cui la dirigente comunale si lamenta con un collega di essere stata messa nei guai dal sindaco.
Nella stessa situazione sono il pregiudicato sandonatese Luciano Maritan e la dirigente comunale Eugenia Candosin. I tre dovranno di nuovo presentarsi davanti al giudice dell’udienza preliminare, il giudice veneziano Andrea Comez, il quale valuterà se le prove sono sufficienti per il loro rinvio a giudizio.