Sarà perchè la vera intenzione della destra, in tutta evidenza, è quella di perderle queste elezioni amministrative per Padova, ma una campagna così sonnacchiosa e plastificata è difficile ricordarla. Ma forse il motivo è un altro e va ricercato nella incredibile divaricazione tra i propositi e i programmi elettorali e gli accadimenti del mondo [e quindi anche della nostra città] e i sentimenti, e le preoccupazioni, diffusi tra le persone.
I proclami elettorali potrebbero essere gli stessi di cinque anni fa e potrebbero andar bene anche tra cinque anni: stenteroei e ingessati – “Adesso Padova più forte”, “Padova vuole cambiare” – slogan buoni per tutte le stagioni. Nessuno sembra voler fare i conti, davvero e fino in fondo, con il fatto che in questi mesi è cambiato il mondo e, per usare le parole dell’economista Stefano Fassina, “non è crollato solo un castello finanziario. E’ saltato il meccanismo di alimentazione della domanda globale degli ultimi 15 anni, e con esso un ordine culturale, politico ed economico”. E’ entrato in crisi il neoliberismo [se ne sono davvero reso conto tutti, tranne, forse, chi dirige il Corriere della Sera], quel tipo di ideologia che ha improntato la cultura del 95 per cento del ceto politico di questa città: tutto questo vorrà dire qualcosa, imporrà delle riflessioni, e delle idee e delle proposte a chi ha deciso di voler amministrare questa città nei prossimi cinque anni, o no? O pensiamo che governare la città sia un fatto tecnico, come amministrare un condominio, impermeabile a scelte e visioni di fondo? Se è così – come propone Massimo Cacciari – meglio trasformare le giunte in consigli d’amministrazione e sciogliere i consigli comunali: tutto denaro risparmiato.
Ma le cose non stanno così e, per chiarire questo, provo a proporre alcuni esempi.
Che tipo di welfare si intende immaginare in epoca di bilanci grami e crescenti diseguaglianze? Quali le priorità e, soprattutto, quale modello si ha in mente – senza tirare in campo slogan precotti come la sussidiarietà o quant’altro – in grado di responsabilizzare la comunità da un lato e dall’altra garantire diritti?
Aspettando che entri in vigore il cosiddetto federalismo fiscale, e senza farsi soverchie illusioni, che cosa si pensa di fare rispetto al patto di stabilità che sta strangolando i bilanci comunali? I futuri amministratori hanno intenzione di porsi come un soggetto politico in grado di strappare a Roma quote importanti di risorse, fino ad arrivare alla disobbedienza del rispetto del patto di stabilità?
Senza fare il verso ad Obama, ma una “buona economia”, che faccia bene all’ambiente e che produca lavori di qualità sembra a questo punto obiettivo di semplice buon senso [tranne per chi pensa che fare favori ad Impregilo, o a Finmeccanica, sia fare gli interessi collettivi]: un’amministrazione comunale ha gli strumenti per incamminarsi in questa direzione? E se sì, quali e a che prezzo?
La cattiva economia – la rendita e lo spreco folle di risorse non riproducibili – che ha condizionato lo sviluppo di questa città [basti andare a leggersi i Piani urbanistici di Mariani e del suo predecessore Riccoboni], in che modo e in che misura può essere limitata? L’esempio di Cassinetta di Lugagnano, cittadina in provincia di Milano, dove si è scelta nella programmazione urbanistica la “crescita zero” e lo “stop al consumo di suolo” è un scenario possibile, e augurabile, per Padova?
Oltre, e insieme, alla “cattiva economia”, con il neoliberismo ha trionfato l'”economia canaglia” – come ha bene dimostrato l’economista Loretta Napoleoni nell’imperdibile saggio intitolato, appunto, “Economia canaglia” -, e le diverse mafie che sono oggi protagoniste in diversi settori del mercato: vogliamo prendere consapevolmente atto di come il nordest sia profondamente implicato in questo processo? Sicurezza vuol dire arrestare il piccolo borseggiatore o contrastare l’enorme business – mercato immobiliare, stupefacenti, scommesse, prostituzione, edilizia…- che sta alimentando mafie e cartelli criminali?
Il neoliberismo ha ristretto e restringe gli spazi di democrazia: è possibile che nessuno abbia rilevato come l’investimento di denaro pubblico nelle azioni Leheman Brothers, e la conseguente perdita, è stata operato da un sola persona, Marzio Pilotto, amministratore unico dell’Aps finanziaria, nominato dal sindaco? Come è possibile che società private amministrino denaro pubblico fuori dai bilanci comunali e senza il controllo [se non altro] delle assemblee elettive? E’ una prassi a cui assisteremo anche in futuro o vi sarà un impegno per “rovesciare la piramide” dell’oligarchia cittadina?
Più in generale è possibile, ed augurabile, fondare una nuova narrazione del futuro di questa città resosi definitivamente inservibile il mantra della crescita?
In un’epoca di predominio dell’immagine prendiamo un caso esemplare: all’infantile, ed in fin dei conti patetico, logo del ghepardo in corsa – “il cuore del nordest ha ripreso a correre” hanno proclamato, a pochi mesi dall’esplodere della crisi [menagrami!] – quale immagine dovremmo recuperare? E, in definitiva, quale sogno di società dovrebbe accomunarci e mobilitarci?
L’area politica che si proclama estranea alla cultura neoliberista è suddivisa in tre liste, all’interno e, a mio modesto avviso più opportunamente, all’esterno della coalizione del centrosinistra [e si contano diverse specchiate personalità nella lista civica per Zanonato]: è legittimo, oltre alla lotta al coltello per spartirsi qualche decimale di voti, aspettarsi un messaggio comune che travalichi l’ovvio, il già detto, la lista delle spesa delle promesse di maniera, un gesto finalmente politico che ridia speranza nel cambiamento?
Gli altri hanno già deciso come farci sopravvivere alla crisi, solo che non sempre hanno il coraggio di dircelo in faccia.
2010 – il Mattino