Multari: una famiglia di successo

La bassa veronese e vicentina conserva ancora ampi spazi aperti, mentre i paesi sembrano pulviscoli di case perse tra la pianura.  Così è Zimella, meno di cinquemila abitanti, in bilico tra la provincia di Vicenza e di Verona dove i Multari sono approdati negli anni ’80 da Cutro in provincia di Crotone. Tre fratelli, Carmine, Fortunato e Domenico. Quest’ultimo, imprenditore edile, detto Gheddafi, è il dominus.

L’approdo in Veneto si rivelerà la scelta vincente lasciandoli in disparte dalla sanguinosa faida – in palio il controllo degli affari al nord – che vedrà contrapposte la cosca Grande Aracri e la cosca Dragone. Domenico Multari fa riferimento a quest’ultima, perdente e che vedrà il suo capo ucciso nel 2004. Ma nel tranquillo Veneto le battaglie più cruente si stemperano e Multari potrà condurre una sicura carriera lontana dai clangori della guerra e inanellando, con fatalistico distacco, condanne definitive per sequestro di persona, ricettazione e bancarotta fraudolenta. Anche la famiglia Grisi, anch’essa vicina alla cosca Dragone, sceglierà l’approdo, negli anni ’90, nel pacioso Veneto e nella sperduta Zimella.

L’arrivo dei Multari non sembra destare particolari reazioni in paese, Domenico è un imprenditore edile che sa il fatto suo. Agli inizi degli anni ’90 acquista un terreno nella vicina Gazzo Veronese dove si costruisce la casa. Per l’acquisto del terreno si avvale della mediazione di Stefano Negrini, allora assessore ai lavori pubblici e poi sindaco di Gazzo, implicato e condannato per un grosso affare di pratiche disinvolte nella pianificazione urbanistica del comune. Sa trovare i contatti giusti Domenico Multari e destreggiarsi tra nel mondo imprenditoriale e delle professioni. Anche perché la sorte gli ha lasciato un compito importante: il recupero del denaro accumulato dalla cosca Dragone e custodito nelle banche del Delaware. L’impresa è condotta da Multari in accordo con una rete di professionisti locali che lo supportano.

Il suo problema è quello di giustificare beni per oltre 3 milioni e mezzo di euro – oggetto di due sequestri nel 2011 e nel 2012 – a fronte di redditi dichiarati, in 10 anni, per 40 mila euro. Domenico ha quattro figli a cui aggiungere fratelli e nipoti, tra questi alcuni incappano, di quando in quando, in guai con la giustizia: rapine, droga e piccole risse. Incidenti che non impediscono al patriarca di coltivare buone relazioni d’affari in paese e aprire società e avviare business con persone del luogo, come qualsiasi altro rispettabile imprenditore.

Nel 2013 la famiglia apre un ristorante nel centro del paese, la Fortezza. È l’”ufficio” di Domenico Multari dove si poteva trovarlo sull’uscio del locale a consumare l’ennesima sigaretta. Alla Fortezza fanno riferimento le diverse famiglie che gravitano tra la provincia di Vicenza e di Verona e i cui nomi affollano le carte dell’inchiesta della magistratura antimafia. Il capo famiglia dei Giardino, Alfonso, è abituale frequentatore della Fortezza. Così come Francesco Frontera, che abita Lonigo, 5 chilometri da qui, prima dell’arresto e della condanna nel processo Aemilia contro la ndrangheta emiliana. Santino Mercurio, appartenente ad una famiglia calabrese del veronese alleata dei Giardino, risulta dipendente di un’impresa dei Multari. Oltre alla famiglia Grisi, naturalmente, vicina di casa dei Multari.

Una ricorrenza di incontri e conoscenze che non si sarebbe solidificata, almeno allo stato attuale delle conoscenze, in una vera e propria struttura autonoma – un “Locale” – della ‘ndrangheta in Veneto, ma che rivela un’intesa attività di mutuo aiuto. La famiglia cutrese, d’altronde, non si limita a consolidare le relazioni tra corregionali: in alcuni business – truffe nel campo della logistica e nel rilascio dei permessi di soggiorno per i migranti – vediamo i Multari lavorare a fianco di personaggi vicini alla Camorra e a Cosa nostra o a semplici faccendieri locali.

Una vocazione alla tessitura di reti di sostegno utile ad orientarsi nella sperduta pianura della bassa padana.

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