Lo scrivo piatto piatto (poi ci ragioniamo): tra i dieci problemi più gravi che affliggono l’agricoltura, la mafia non c’è. Eppure oggi, in gran spolvero, Coldiretti organizza a Padova un convegno dal titolo: “Agromafie a Nordest” con Giancarlo Caselli che, tra le altre cose, è anche presidente del comitato scientifico dell’Osservatorio Agromafie di Coldiretti. Nell’occasione verrà presentata la quarta edizione del rapporto “Agromafie” (vedi qui).
Si potrebbero promuovere convegni sulla volatilità dei prezzi del cibo legati alle speculazioni globali e alla follia dei futeres della borsa di Chicago, si potrebbe parlare dell’azione di strozzinaggio dei pochissimi giganti della distribuzione che omologano ed appiattiscono la produzione al loro volere, delle storture di un mercato globale che affama il sud del mondo e ammala di junk food il resto, si potrebbe parlare dei frutti amari della “rivoluzione verde” e e delle decrescenti rese dei terreni dovute all’agricoltura intensiva o dei cambiamenti climatici (un buon compendio qui)…..invece si parla di “agromafie”.
Le questioni citate – che sono poi delle politiche – portano a delle conseguenze ben precise come la desertificazione delle piccole e medie imprese agricole e lo sfruttamento e l’irregolarità del lavoro in agricoltura (ne abbiamo parlato qui).
Recentemente la Flai Cgil ha presentato una interessante ricerca sul lavoro irregolare nella agricoltura veneta (qui) da cui riportiamo un pezzo di un’intervista ad un lavoratore agricolo:
Pensa che rispetto al passato ci sia stato un cambiamento nelle condizioni di lavoro in agricoltura? Totale, un cambiamento totale. Perché io ho cominciato nel 1981 e la paga era più congrua, prima di tutto. Seconda cosa, i datori di lavoro avevano meno pretese. Una volta per raccogliere una cassetta di insalata ti ci volevano 5 minuti, per dire, adesso devi farla in due minuti. Ora è un lavoro oltre che un po’ faticoso di schiena, dove ti corrono dietro.. “fai presto altrimenti quella lì è la strada”. E dopo naturalmente ho capito anche un’altra cosa, ovvero che i datori di lavoro assumono sempre una terza persona, cioè, mettono un capo azienda..Usano un’intermediazione e, guarda caso, scelgono sempre un intermediario che fa gli affari suoi.. cioè che ti fa fare delle cose per farti lavorare di più o per spingerti sempre oltre.
C’entrano le “agromafie” in tutto questo? Sicuramente. Le organizzazioni criminali cercano di trarre vantaggio da situazioni di cattiva regolazione e di crisi. Si ritagliano il loro ruolo regolando a loro modo il mercato del lavoro, presidiando gli snodi del mercato come il trasporto e i mercati ortofrutticoli. Praticando azioni illegali che magari da domani, al variare della legislazione, illegali non saranno più.
Ma sono le agromafie il problema? No, le mafie giocano di sponda in una situazione creata da altri attori, figure potenti e ‘rispettabili’ che sono più direttamente coinvolte in questo sistema di sfruttamento, all’interno del quale ricoprono ruoli chiave. Domanda: il trader che specula sul prezzo dei cereali, affamando, come è accaduto in questi anni, milioni di persone, è meno criminale di un capo camorrista che “controlla” – anche con la violenza -il mercato ortofrutticolo di Fondi? Perché non viene pubbblicato un rapporto sugli agrocriminali dal colletto bianco e non si sponsorizzano convegni su questo?
E non è sufficiente ricomprendere, all’interno della categoria del ‘mafioso’ anche queste figure, perché la confusione generata da un comune stigma per attori che svolgono ruoli del tutto diversi non giova a nessuno. Forse non siamo sufficientemente interessati/pronti ad accogliere nuove rappresentazioni dei criminali organizzati, ma ricondurre alla figura del mafioso soggetti con responsabilità variegate all’interno del sistema criminale che gestisce manodopera e produzione agricole non può che contribuire a spoliticizzare una questione che ha risvolti sociali tragici (e la figura del magistrato, in questo caso Caselli, viene rappresentata come la garanzia della neutralità avversa ad ogni sana politicizzazione).
Mettere al centro dell’azione pubblica un tema piuttosto che un altro non è un’azione neutra: temiamo, certi di essere smentiti, che le mafie – o meglio, la loro rappresentazione pubblica – possa funzionare un po’ come i barbari nella lirica del poeta Kavafis dove l’impero morente s’inventò il pericolo dei barbari alle porte per rinserrare le fila e coprire le enormi crepe che lo attraversavano (poi i barbari non arrivarono: “E adesso, senza barbari, cosa sarà di noi? Era una soluzione, quella gente”).
Se, invece le mafie verranno “usate” come sintomo di problemi ben più vasti e complessi, benevenuta la campagna contro le agromafie.
p.s. sarebbe ora di costuire una sistema trasparente – un portale – per far incontrare la domanda e l’offerta di lavoro in agricoltura come chiede da molto tempo inascoltata la Flai Cgil togliendo ai “caporali” il pane di bocca. Per far questo non serve un convegno.