Non solo mafie. L’ultimo rapporto della Dia sul Veneto

Non solo mafia: i fallimenti pilotati, le truffe fiscali, la corruzione in genere, così come il traffico illecito dei rifiuti, non sono un patrimonio esclusivo delle mafie, anzi.

Per la prima volta la relazione semestrale della Direzione investigativa antimafia nel capitolo dedicato al Veneto prende in esame tutta una serie di episodi di criminalità economica in cui i protagonisti non appartengono a cosche o clan. Un cambio di prospettiva interessante. Ed è così che troviamo citata l’operazione in cui sono incappati dieci operatori del commercio all’ingrosso di prodotti petroliferi, condotta a San Donà di Piave denominata Gasolio e Nero, una maxi frode fiscale che fruttato circa 25 milioni di euro. E qui i legami con la criminalità organizzata sono palesi. Così come leggiamo dell’operazione “Recidiva”, riguardante la provincia di Padova, dove le mafie non c’entrano, che ha riguardato società attive nel commercio di prodotti elettronici dove il meccanismo escogitato era quello della creazione di società fittizie intestate a prestanome e utilizzate per evadere l’Iva. Un meccanismo analogo che ritroviamo sovente nei circuiti societari legati alla ‘ndrangheta. E sempre nel settore dei prodotti elettronici, viene segnalato nel rapporto degli investigatori antimafia, il caso di una bancarotta fraudolenta attuata nel veronese per un patrimonio di oltre 16 milioni di euro.

C’è evidentemente una certa affinità tra le pratiche dei gruppi mafiosi e quelli degli operatori della “semplice” criminalità economica, fanno più o meno le stesse cose. E non è una buona notizia. Per i mafiosi può rappresentare un importante elemento di socializzazione, di messa in comune di conoscenze e agganci favorendo la tessitura, da parte dei gruppi di mafia, di reti di relazioni con il mondo imprenditoriale, delle professioni e anche con il mondo politico. Per altro, è assodato in letteratura, come l’espansione mafiosa sia connessa a situazioni preesistenti di corruzione e a pratiche diffuse di illegalità. Insomma la pianta mafiosa attecchisce dove il terreno è più fertile, dal suo punto di vista D’altronde queste vicende indicano anche la capacità, da parte di reti autoctone di criminalità economica, di consolidare affari e relazioni senza dover ricorrere agli strumenti propri – in primis la violenza, ma non solo – della criminalità mafiosa. E anche questa non è una buona notizia. Anche se nella terra del Mose e delle banche Popolare di Vicenza e Veneto Banca è pure una notizia vecchia (ma poco compresa, diciamo). Da segnalare poi l’inchiesta chiamata “A tutto gas” in cui i dirigenti della società distributrice del gas nella provincia di Belluno avrebbero fatto pressioni, spalleggiati da un funzionario della Provincia, perché l’amministrazione comunale annullasse la prevista gara d’appalto. La dinamiche corruttive evidentemente continuano a fare il loro corso anche se il tema è sparito – a ridosso dell’arrivo dei finanziamenti del Piano di ripresa e resilienza – dall’agenda apolitica e dal dibattito pubblico.

Sul fronte delle mafie si conferma l’importante stratificazione di gruppi mafiosi nella provincia scaligera così come in quella veneziana dove vengono segnalati episodi di estorsione ed usura nei confronti sia di imprese che di singoli. Sempre nel veneziano da segnalare il traffico di stupefacenti che in alcuni casi vedono Mestre come hotspot per traffici internazionali. Nelle altre province l’operatività mafiose, pur attiva, ha caratteristiche meno sistematiche di quanto non avvenga nel veneziano e nel veronese.

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