Chiariamolo subito: Sommacampagna è un posto molto particolare, e se ci si doveva imbattere in un insediamento così stratificata e profondo della criminalità calabrese in Veneto non poteva che accadere in questo paesone della bassa veronese, cresciuto in fretta e affacciato ai confini con la Lombardia. Sommacampagna è un po’ il non plus ultra della presenza ‘ndranghetista in Veneto, anche nei suoi livelli più rudi ed espliciti. Nel 1992 due poliziotti ci hanno fatto le spese tentando di prelevare un trafficante di droga di origine calabresi. Lo stesso anno in una carrozzeria di Sommacampagna i carabinieri scoprirono un deposito di esplosivi, 240 chili di pentaertrite che veniva fabbricata in loco. In quel periodo il ritrovamento di attrezzati arsenali di armi avveniva con cadenza regolare.
Le famiglie di ‘ndrangheta, così come diversi trafficanti venetissimi, hanno surfato sull’onda dei grandi traffici di eroina che hanno fatto di Verona in quegli anni la Bangkok d’Italia, come veniva definita.
Poi anche nella bassa veronese avviene il percorso classico: il rinvestimento dei sudati guadagni in attività legali e il consolidamento dei rapporti economici, sociali e, se possibile, anche politici. Tra queste famiglie, originarie del reggino, l’attività prevalente è l’autotrasporto, attività strategica per continuare a trasportare droga e armi. L’investimento nel mercato legale non vuol dire abbandonare le vecchie abitudini: intorno al 2003 vengono notati una serie di incidenti ai camion della zona: forature ai serbatoi o alle gomme, incendi, sabotaggi al motore. Dopo un paio d’anni i carabinieri hanno scoperto una “sorta di sodalizio” tra diversi imprenditori del settore che in questo modo mettevano all’angolo la concorrenza. I cognomi e i nomi dei protagonisti di allora in diversi casi sono gli stessi dell’ultima inchiesta.
Anche la politica si può fare in un certo modo: nel 2004 sulla tomba del padre del candidato sindaco di Sommacampagna viene ritrovato un sacchetto con un uccellino morto e un biglietto: “Tuo figlio non deve fare il sindaco”. Le famiglie sono note: Luccisano, Franco, Versace, Gerace, Albanese. Nel circondario lo sanno anche i sassi che non si tratta di “farina per fare ostie”. Tra le primissime interdittive antimafia firmate dal Prefetto Salvatore Mulas ci sono due ditte di autotrasporti controllate dai Franco e dai Luccisano – questi ultimi hanno poi trasferito armi e bagagli in Slovacchia – e collegate con la famiglia Pesce di Rosarno. Tre anni prima un’inchiesta della magistratura veronese aveva messo in luce il giro di cooperative gestita dalle stesse famiglie e utile tra le altre cose a riciclare denaro e gestire manodopera (e quindi consenso). Eppure la loro capacità di fare rete, stringere alleanze, scambiare favori con pezzi dell’imprenditoria locale non ha incontrato, in tutto questo tempo, soverchie difficoltà. E senza questa “accoglienza” non si costruisce una storia criminale durata quarant’anni.
Sommacampagna è un posto a sé e la storia criminale di quel territorio non è replicabile. Gli ingredienti che assicurano il successo dell’insediamento mafioso sono vari, difficilmente misurabili e ogni contesto conserva le sue specificità.
Ma forse è utile porsi qualche domanda: vi sembra surreale che un imprenditore abbia potuto ingaggiare dei picchiatori per “consigliare” ad un sindacalista di smetterla con questa storia dei diritti dei lavoratori? O che utilizzi dei personaggi “convincenti” per riscuotere dei crediti o annullare dei debiti? O sempre con gli stessi mezzi per convincere un fornitore ad “adeguare” i prezzi?
Se pensate che il mercato sia esente da queste pratiche, che gli operatori economici siano generalmente intolleranti verso questo genere di operazioni, che l’economia sia regolata da norme ispirate all’efficienza e alla giustizia sociale e che tutto avvenga alla luce del sole, allora si, Sommacampagna è lontana, distante anni luce, un paesone perso nella vasta pianura della bassa veronese. Nulla che ci riguardi.
18 luglio il Mattino di Padova