Venezia – Napoli: la liason dei rifiuti

rifiuti-immagine-emblematica-e1484176684700-1200x580Che siano scoasse o monnezza alla fine ci si intende. Tra Venezia, e il Veneto e Napoli, e la Campania, il traffico di rifiuti è stato continuo e così si sono rinsaldati, negli anni, accordi ed alleanze.

Fin dai tempi della famigerata piattaforma di stoccaggio di rifiuti industriali e civili a Marghera gestita prima dalla Servizi Costieri del vicentino Carlo Valle e poi da Ecoveneta, società del gruppo Maltauro fino al sequestro da parte della magistratura nel 2003. I rifiuti tossici trattati dalla Nuova Esa e stoccati dalla Servizi Costieri, sono finiti, tra l’altro, a Bacoli, provincia di Napoli dove dell’alluminio è finito in una normale discarica, ad Acerra, provincia di Caserta, dove un terreno è stato inquinato da idrocarburi.

«Qui non sembra esistere un’associazione di stampo mafioso, bensi un sistema affaristico-criminale fatto da imprenditori senza scrupoli che per abbattere i costi trafficano illecitamente con i rifiuti» affermò l’allora presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle ecomafie Paolo Russo di Forza Italia. Era il 2003 e il vicepresidente della commissione il veneziano Michele Vianello soggiunse: «Il rischio è che l’area di Marghera diventi ricettacolo di porcherie provenienti da altri posti».

E che Marghera sia un nodo importante nei traffici dei rifiuti verso sud lo apprendiamo da quanto scrive la Commissione nel 2006: “Le indagini hanno consentito di documentare come l’organizzazione gestisse quantitativi elevatissimi di rifiuti speciali pericolosi, provenienti dal nord Italia, in particolare dal sito industriale di Porto Marghera (Ve), che venivano smaltiti abusivamente in aree situate a ridosso del litorale molisano, in prossimità di greti di fiumi e torrenti, nonché in terreni coltivati, grazie anche alla complicità` di locali aziende agricole, che impiegavano i fanghi contaminati come fertilizzanti”.

A gestire il ciclo dei rifiuti a Napoli, tra il 2007 e il 2010 con risultati che sono stati sotto gli occhi di tutti, fu un veneto, Stefano Gavioli. La sua società Enerambiente, nata a Malcontenta, fu colpita nel 2010 da una «interdittiva antimafia atipica» spiccata della prefettura di Venezia. La procura napoletana ipotizzò per lui e i suoi soci il reato di bancarotta fraudolenta vista la girandola di società che gravitavano attorno all’imprenditore veneto. Dopo una sequela infinita di problemi procedurali, l’inchiesta, nel 2016, è finita a Venezia.

Nel 2010 l’assessore all’ambiente della provincia di Venezia, Paolo Dalla Vecchia, viene avvicinato da Pierantonio Siciliano un suo compaesano che gli consiglia di «stare attento, buono e tranquillo». Siciliano fu assolto dall’accusa di minacce a pubblico ufficiale perché il suo “voleva essere un consiglio in quanto aveva assistito ad un dialogo, durante un pranzo a Napoli, in cui i commensali si lamentavano del comportamento di un avvocato e di Luca Zaia sulla vicenda dei rifiuti tossici e di Porto Marghera”. La sua quindi non era una minaccia, ma un avvertimento. Dalla Vecchia all’atto del suo insediamento, nel 2012, si era visto sommergere da richieste di autorizzazioni per impianti di trattamento di rifiuti e per progetti di impianti di gestione dei rifiuti come Alles (del gruppo Mantovani) o Sg31 (sponsorizzato da Stefano Gavioli) a cui aveva apposto un niet. Provocando più di qualche malumore.

da La Nuova Venezia del 22 febbraio 2018

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