Intermediaria, faccendiera, procacciatrice d’affari: che mestiere fa la misteriosa donna che compare nel video dell’inchiesta di Fan page?
Dalle prime informazioni emerge un quadro sfaccettato: interloquisce a nome di una cordata di imprenditori, procaccia informazioni, mette in contatto mondi diversi, esibisce contatti con la politica, va a caccia di possibili finanziamenti di qualsiasi provenienza. Non è iscritta a nessun ordine professionale, non c’è una formazione specifica per la sua mansione, eppure è una figura cruciale per il proseguimento del business. Figure di raccordo come questa, in realtà, sono sempre più centrali nel mondo degli affari.
L’importanza del ruolo di questi personaggi si accompagna ad un certo modo di fare impresa dove alla capacità di fare realmente l’imprenditore – innovare, trovare nuovi mercati – si affianca – o si sostituisce – quella di connettere e intrecciare informazioni, scambiare obblighi e favori. Nessuna demonizzazione, per carità: anche i contatti e le informazioni hanno un valore e c’è chi ne fa il cuore della sua attività. Il problema è che facilitando gli affari, mettendo in contatto le persone accade che alle volte i confini sfumino, le barriere morali si attenuino. Ci si mette d’accordo.
Le mafie in tutto questo possono mettere sul tavolo le loro risorse di denaro, di relazioni e, quando occorre, di “persuasione”. Ma non hanno nessuna convenienza a monopolizzare il gioco. Fanno solo la loro parte all’interno di cordate, cartelli collusivi, alleanze ad hoc create per il singolo affare.
Il teatrino messo in scena dall’ex imprenditore borderline Nunzio Perrella con la misteriosa signora risulta verosimile da una parte ed incredibile dall’altra. Verosimile perché in questi ultimi anni i gruppi di camorra hanno reinvestito gli imponenti somme accumulate – secondo testimonianze di collaboratori di giustizia fino a un milione di euro alla settimana – con gli sversamenti selvaggi dei rifiuti degli anni ’80 e ’90 in imprese pulite. Le aziende in cui hanno investito non risultano intestate a personaggi riferibili all’ambito camorristico; soltanto attraverso minuziose indagini a ritroso all’interno di trust finanziari e di complicate scatole cinesi societarie è possibile individuare collegamenti con la criminalità.
E nemmeno il modus operandi li distingue più di tanto: le regole del mercato sono sufficienti per garantire il successo di imprese senza particolari problemi di liquidità e con grandi capacità di tessitura di reti. Come ha scritto Antonio Pergolizzi, responsabile di Legambiente nella lotta alle mafie, nei business sporchi “non è più possibile distinguere gli uni dagli altri, i mafiosi dagli imprenditori, gli amministratori dai professionisti o dai banchieri”.
D’altronde l’esibizione di Perrella, vista negli spezzoni di video messi a disposizione da Fan page, risulta incredibile quando sottolinea l’origine del fantasmatico denaro che metterebbe a disposizione della misteriosa signora: perché parlarne? Perché sottolineare la diversità dei flussi? Ai fini dell’inchiesta giornalistica, ovviamente. Ma nella realtà quotidiana la rimozione, l’ambiguità, il vedo non vedo è la regola. Confidò una volta a chi scrive un imprenditore della ristorazione: “Noi capiamo benissimo quale è l’origine di alcuni colleghi, e anche qual è l’origine delle loro fortune. Ma si fa finta di niente”.
L’affare di cui parlano Perrella e la misteriosa signora riguarda un deposito di stoccaggio di gas. E anche qui nulla di nuovo: l’interesse delle reti imprenditoriali/criminali è spesso per business realizzati a ridosso di finanziamenti e di risorse pubbliche, in questo caso dell’Unione europea, in cui si può parassitare l’economia presidiandone i passaggi fondamentali e traendo guadagni da quel presidio. Le mafie, in generale, hanno sempre dimostrato grande interesse per il controllo dei flussi – pensiamo al porto di Gioia Tauro o ai mercati generali come quello di Fondi o di Milano – e scarsa propensione per la produzione.
Il teatrino messo in scena da Fan page e da Nunzio Perrella è, secondo il parere di chi scrive, di dubbio gusto e di dubbia correttezza deontologica. Non è nemmeno un spaccato della realtà, piuttosto una sua deformazione e un suo ingigantimento. Ma ci racconta comunque qualcosa di inquietante e vero sull’economia di questi territori.
da La Nuova Venezia 23 febbraio 2018