I venefici fanghi della Coimpo sono stati versati anche nei campi del padovano. E’ uno dei tragici elementi che emergono dalla lettura di una corposa informativa del 2016 dell’allora Corpo forestale che raccoglie i risultati di tre anni di indagini sull’attività dell’azienda di Adria che trattava fanghi civili ed industriali e i cui responsabili – il padovano Gianni Pagnin insieme al socio polesano Mauro Luise, le rispettive figlie Alessia Pagnin e Glenda Luise e Mario Crepaldi, il factotum dell’impianto – sono stati arrestati nel dicembre dell’anno scorso per traffico illecito di rifiuti. La procura veneziana grazie al lavoro dei forestali ha potuto mettere in campo le prove di un sistematico sversamento illegale dei fanghi nei campi. Fanghi che non venivano minimamente trattati ma scaricati così come venivano ricevuti con tutto il loro carico di inquinanti. Destinazione padovana dello sversamento illegale è stata una grossa azienda agricola di Villafranca Padovana, che produce in gran parte granoturco e soia, dove nell’aprile del 2016 sono stati distribuiti, a cura degli operatori della Coimpo, almeno 18 tonnellate di fanghi. Fanghi provenienti dalla vasca H dell’impianto, che secondo gli investigatori era al tempo “il principale ricettacolo dei rifiuti che entravano nell’impianto”. Da quanto si apprende dalla lettura del dossier scarichi illegali sono stati effettuati anche nella zona di Due Carrare e non si esclude che altri territori possano essere stati oggetto dell’attività di distribuzione dei fanghi. Le indagini nei confronti dell’attività della Coimpo hanno preso il via all’indomani della morte di tre dipendenti e di un camionista rimasti asfissiati da una nube di acido solfidrico e di anidride solforosa uscita da una delle vasche dell’impianto. Era il 22 settembre del 2014.
In Polesine sono in corso da un paio di settimana analisi approfondite, a cura della Provincia di Rovigo, di alcuni terreni per appurare la necessità di una successiva bonifica.
Le analisi effettuate nel 2015 dal Corpo forestale nei 377 ettari di terreno in provincia di Rovigo – una piccola parte dei terreni dove la Coimpo negli anni ha sversato i suoi fanghi – hanno fatto emergere una situazione preoccupante in particolare rispetto ai Pcb, i policlorobifenili, una sostanza dalla carica inquinante simile alla diossina che non si scioglie in acqua e in grado di passare, concentrando la sua carica tossica, nella catena alimentare dalle piante, agli animali e, infine, all’uomo. Almeno in tre casi il valore del Pcb è risultato di 0,10mg/kg rispetto ad un valore limite di 0,06 mg/Kg. Preoccupa anche la presenza di mercurio e di idrocarburi pesanti. Gli esperti si aspettano che le nuove analisi effettuate a livelli più profondi del terreno facciano emergere risultati ancora peggiori.
E’ stata aggiornata al 30 aprile l’udienza prevista per oggi a Venezia davanti al Gip David Calabria per discutere dell’istanza di sospensione condizionale e di patteggiamento della pena da parte degli imputati. Gli avvocati di parte civile – la Regione Veneto, la Provincia di Rovigo, diversi comuni polesani e Legambiente – hanno fatto istanza perché la sospensione della pena venga condizionata “al ripristino dei luoghi e al risarcimento dei danni causati”. In mancanza di un provvedimento che costringa i responsabili a pagare il costo delle bonifiche ricadrebbe sui Comuni. La società di assicurazioni rumena con cui Coimpo ha stipulato le polizze, è fallita già nel 2014 senza che la Provincia di Rovigo, titolare delle autorizzazioni, se ne accorgesse. Gli investigatori della Forestale hanno calcolato che grazie alle attività illecite tra il 2014 e il 2016 gli amministratori della Coimpo hanno accumulato 2,7 milioni di euro di profitto. Non un euro di risarcimento è stato ad oggi assicurato ai parenti delle vittime.