Una geografia degli insediamenti mafiosi in Veneto

Questo articolo è uscito nel numero di febbraio della rivista Narcomafie all’interno di un dossier sulle mafie in Veneto. Firmato insieme ad Antonio Vesco.

Fino a non molti mesi fa, il Veneto rappresentava un enigma. Agli studiosi e agli investigatori delle mafie risultava incomprensibile come gli insediamenti di gruppi mafiosi – in particolare ‘ndranghetisti – si arrestassero sulle sponde lombarde del lago di Garda, preservando il Veneto dalla loro presenza. Nell’ambito del dibattito pubblico sulle mafie a Nordest, la criminalità organizzata veniva spesso evocata, ma scarse erano le evidenze empiriche e le inchieste. A parte il processo alla banda Maniero, ad oggi si conta un solo procedimento giudiziario concluso con condanne per il reato di associazione mafiosa (il 416 bis). Si tratta della cosiddetta operazione Aspide, che ha coinvolto un gruppo criminale campano i cui membri avevano dato vita a una società che offriva servizi alle imprese: dall’usura al recupero crediti, dall’evasione dell’Iva alle bancarotte fraudolente. Per il resto soltanto sussurri e grida: diversi sospetti, denunce – e inevitabili illazioni – ma pochi fatti accertati e una scarsa produzione di conoscenza sul fenomeno mafioso nella regione.

Oggi, le cose stanno cambiando piuttosto rapidamente. Nell’ultimo rapporto della Direzione nazionale antimafia, l’analisi dei magistrati lascia spazio a preoccupanti riflessioni: “La sempre più significativa operatività in Veneto di gruppi criminosi originari del sud Italia tende a diventare sempre più stabile”. E alcune inchieste hanno portato alla luce realtà finora soltanto immaginate. Oggi è possibile isolare alcune macro-aree nelle quali le attività mafiose sono emerse in modo più evidente. Proviamo dunque a ricostruire una mappa delle presenze mafiose in Veneto a partire dalle principali inchieste giudiziarie che hanno coinvolto gruppi criminali provenienti dal Sud Italia (ai territori descritti in questo articolo va aggiunto il caso dell’isola veneziana del Trochetto, a cui è dedicato uno specifico approfondimento all’interno di questo dossier).

Il Veneto orientale. Ha sollevato clamore la denuncia presentata da due consiglieri comunali di Caorle, cittadina del litorale veneto orientale, di preoccupanti minacce nei loro confronti e nei confronti del sindaco per la messa in discussione di una importante operazione urbanistica, il villaggio delle Terme, che dovrà sorgere a ridosso del centro storico della città. Ma risale già al febbraio del 1998 l’arresto, nella vicina Portogruaro, del boss camorrista Costantino Sarno. Nell’ambito del procedimento a suo carico, sono state sequestrate diverse ditte, attive soprattutto nel commercio di pelli, nei comuni del litorale tra il Veneto e il Friuli. In quest’area siamo di fronte a una presenza di lungo periodo, stratificata e in grado di relazionarsi con settori della società locale, in particolare nella zona di Eraclea ed in particolare nel settore dell’edilizia approfittando del boom delle costruzioni – una sorta di monocultura economica da queste parti – che investito la costa veneta negli ultimi decenni. L’inchiesta denominata “Coast to coast”, del 2012, condotta dal nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza di Rimini e guidata dal colonnello Gianfranco Lucignano, ha portato al sequestro di 21 immobili – sospettati di essere stati acquistati con fondi appartenenti alla camorra – nel veneziano e nel padovano: si tratta di palazzine, ville, parcheggi e garage a Portogruaro, Jesolo e San Donà di Piave. Secondo l’inchiesta, dietro le operazioni immobiliari agiva un imprenditore legato alla camorra che utilizzava anche alcune società attive tra Jesolo, San Donà e Portogruaro. Un’altra inchiesta ha investito il litorale orientale veneto con l’arresto di 13 persone, tra cui alcuni napoletani ritenuti vicini alla camorra, un funzionario di banca e il patron del San Donà Calcio. Le indagini avrebbero fatto venire alla luce un patto criminale tra un funzionario di banca di Caorle, in provincia Venezia, un imprenditore e diversi pregiudicati di Napoli e Casal di Principe. Le accuse a loro carico sono di estorsione aggravata, porto d’armi da sparo, truffa, lesioni gravi, falso e ricettazione, tutti reati commessi con l’aggravante delle modalità mafiose. Alcuni degli indagati, residenti nel Veneto orientale, erano attivi nel settore dell’edilizia.

Abano Terme. Nella cittadina termale padovana negli anni ’90 hanno trascorso parte della loro latitanza criminali di rango come i fratelli Graviano. E già nella nota relazione del 1994, la Commissione parlamentare antimafia denunciava il vorticoso turn over nella proprietà degli alberghi. Ora la crisi nel comparto termale morde come non mai e Alessandro Naccarato, deputato padovano del Pd e membro dell’attuale Commissione antimafia segnala “inquietanti esempi di passaggi di proprietà schermati da intrecci di società lussemburghesi“.

La provincia di Verona. Graziano Tovo, consigliere regionale ed ex sindaco di Villafranca veronese, rincasando nota alcune persone che attendono nei pressi della sua abitazione. Sono quattro i colpi di revolver che gli sfiorano il viso, le spalle e l’ addome. Un solo colpo colpisce di striscio il ginocchio destro. E’ il 1991. Tovo si era fatto molti nemici negando l’autorizzazione all’attività di cava nel suo comune e, poi, proseguendo la sua battaglia per la regolamentazione del settore in consiglio regionale. Venticinque anni dopo, otto colpi di pistola calibro 7.65 sono stati esplosi contro la villetta bifamiliare del sindaco di Affi, piccolo paese del versante veronese del Garda. Al momento dell’attentato, il sindaco, la moglie, la figlia e la suocera erano in casa e hanno sentito distintamente il rumore dei proiettili che solo per un caso fortuito non hanno ferito nessuno. A Rivoli Veronese, quattro chilometri da Affi, nel maggio 2012 sono state individuate e allontanate dai cantieri due ditte impegnate nella costruzione del polo scolastico: secondo la magistratura di Crotone sarebbero in mano a presunti ‘ndranghetisti. Un mese prima del blocco dei lavori, nel vicino comune di San Giovanni Lupatoto sono stati sparati tre colpi di pistola contro la finestra di una persona coinvolta nell’appalto. Nel comune di Garda, cinque chilometri da Affi, nel giugno 2012 la minoranza consiliare inviò al ministero dell’Interno la richiesta di commissariamento “per sospette infiltrazioni della ‘ndrangheta negli appalti e negli uffici comunali”, puntando il dito contro “appalti assegnati dal comune di Garda in più occasioni a ditte e società legate alla ‘ndrangheta”. Dopo qualche settimana dalla denuncia, al consigliere comunale di opposizione di Garda, Donato Pellegrini, sono state tagliate le gomme dell’auto. Come ha ripetutamente denunciato la Dia nei suoi rapporti su alcuni paesi della bassa e dell’ovest veronese e del basso vicentino si segnalano “la presenza di ditte, in particolare nel settore dell’edilizia, riconducibili ad aggregati criminali di Cutro, Delianova, Filadelfia, e Africo Nuovo”. I sei presunti ‘ndranghetisti arrestati in Veneto grazie alla recente inchiesta della procura bolognese (l’operazione Aemilia) risiedevano tutti in questa fascia territoriale. In questi paesi la presenza di famiglie ‘ndranghetiste è alla seconda generazione: dopo essersi arricchiti nel traffico di stupefacenti, i rampolli hanno investito gli utili in particolare nell’edilizia e nel settore dei trasporti. Queste sono soltanto alcune delle vicende che hanno interessato il territorio veronese. I diversi casi emersi appaiono spesso collegati tra loro, eppure ad oggi non si conta alcuna inchiesta giudiziaria che contesti il reato di associazione mafiosa. Per questo, all’interno di questo dossier, abbiamo dedicato un approfondimento al caso Verona.

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