Di classifiche se ne pubblicano fin troppe, ma questa (non molto conosciuta) merita due minuti di attenzione. L’Ocse ha elaborato una scala che misura la “restrittività delle politiche ambientali” nei 25 paesi membri. Per “restrittività” s’intende la capacità di applicare il principio “chi inquina paga” per cui le esternalità ambientali e sociali derivanti dalla produzione vengono effettivamente attribuite al produttore del bene e del servizio.
Bene secondo questa classifica l’Italia – nel 2012 ultimo anno di rilevazione – si colloca nelle ultime posizioni. Interessante il fatto – ne parla Stefano Nespor nel numero 4/15 del Mulino – che negli anni ’90 l’Italia si collocasse nella media, ed anche un pelo al di sopra, dei paesi Ocse. Il nostra paese allora faceva meglio dell’Olanda e della Finlandia.
Poi, dal 1998, la legislazione italiana si è fatta via via più permissiva. Permissività che non ha significato, se non in parte, semplificazione delle procedure: i tempi per le autorizzazioni rimangono comunque mediamente più lunghi in Italia che negli altri paesi (più restrittivi dal punto di vista ambientale).
Temo che la recente introduzione dei reati penali in campo ambientale – gli ecoreati – non basti. Il problema, in questo caso, si colloca a livello amministrativo e non penalistico ed a funzionare sono chiamate le disastrate – ed ideologicamente dileggiate in questi anni- pubbliche amministrazioni.