Alla fine rischia di farci la figura del «mona» il povero Lino Bertan, amministratore della società Venezia – Padova, arrestato per corruzione [leggi: tangenti] lo scorso martedì mattina e da allora agli arresti domiciliari nella sua casa di Campolongo Maggiore in provincia di Venezia.
Il suo arresto potrebbe rappresentare l’inizio di un terremoto nel collaudato «sistema» politico affaristico che in questi decenni ha inondato il Veneto di asfalto e cemento. Oppure finire lì, con un piccolo mariuolo, tessera Pd – secondo gli osservatori, era il garante del centrosinistra nella spartizione della torta in una regione dominata dal centrodestra –, in galera, un po’ di prediche sulla moralità e tutto come prima. Come vent’anni fa.
Tra le accuse mosse dalla procura quella che Lino Brentan abbia «spezzettato» ad arte degli incarichi per lavori nell’autostrada per evitare le gare ad evidenza pubblica ed ingaggiare così le imprese amiche: una sorta di «sistema Brentan» hanno scritto i giornali. Ma l’allergia alle gare è diffusa. Segnaliamo che all’inizio del 2009 è stata introdotta, con la Legge n. 14 del 27 febbraio 2009, la possibilità per i concessionari autostradali privati, di affidare in via diretta, senza gara d’appalto, fino al 60 per cento dei lavori a società loro controllate o collegate, tanto che – come denunciato dall’associazione nazionale delle imprese edili – nel biennio 2009-2010 si è registrato, rispetto al biennio precedente, un calo del 57 per cento dei bandi di gara pubblicati dalle concessionarie autostradali private.
Risalendo nel tempo è utile rammentare che la società autostradale Brescia – Padova per la costruzione della “Valdastico Sud” ha affidato una quota rilevante dei lavori a trattativa privata, ad una società, la Serenissima Costruzioni, da essa costituita nel 2002 [proprio l’anno in cui la commissione Via ha dato il via libera alla nuova autostrada] e della quale la stessa società autostradale detiene il 70 per cento del capitale [il 30 per cento era della Mazzi Impresa Generale Costruzioni, impresa finanziatrice ufficiale della campagna elettorale del sindaco Flavio Tosi]. «Uscendo», temporaneamente, dalle autostrade ricordiamo che grazie al decreto sviluppo del maggio scorso è stata innalzata ad un milione di euro la soglia [prima era la metà] sotto la quale i contratti di lavori pubblici possono essere affidati tramite procedura semplificata e gara informale. Tutte le forze politiche concordi.
Vedremo come procederà l’inchiesta e il processo. Lo scoglio più insidioso, come sanno bene i magistrati inquirenti, è quello di dimostrare che la società autostradale per cui agiva Brentan è una società pubblica e che quindi l’amministratore agiva come pubblico ufficiale. Solo in questo caso può essere accusato di corruzione. Per la legge italiana infatti non esiste il reato di corruzione e concussione tra privati, ma solo se una delle parti in causa rappresenta la pubblica amministrazione.
Sarà un caso ma da dopo tangentopoli sono fiorite centinaia e centinaia di società di diritto privato con capitale pubblico. Sono chiamate dagli addetti ai lavori «camere di compensazione» – e le società autostradali sono tra queste – dove rappresentanti della politica e delle imprese siedono fianco a fianco e dove la transazioni difficilmente possono essere rintracciate e perseguite [provate a richiedere il verbale o la delibera di un cda di una società autostradale, pensate di riuscire ad ottenerlo?].
È il nuovo volto del sistema corruttivo descritto da studiosi come Ivan Cicconi e Alberto Vannucci. Non tanto buste gonfie infilate di soppiatto nel cassetto, ma comodi bonifici targati sotto la voce «consulenze». Il sistema si è evoluto. Un giornalista del servizio pubblico, dalle letture rarefatte ed approssimative, aizza i cittadini contra la «casta» chiedendo il taglio del 50 per cento dei consigli regionali e del parlamento – comunque organi di rappresentanza popolare e obbligati alla trasparenza – mentre le 8mila società di diritto privato con capitale pubblico [è solo una stima, il numero esatto non si conosce] rimangono, quelle sì, intoccabili e opache [ricordiamo, per inciso, che tra le società del gruppo Serenissima, troviamo una finanziaria con sede in Lussemburgo, la Serenissima Investements S.A.].
La società Venezia – Padova ha concluso la concessione del tratto autostradale omonimo nel 2009. E’ ancora in vita perché oggi è promotore di nuove opere – la Nogara Mare e il Grande raccordo anulare di Padova -, mentre la sua composizione societaria è arricchita da privati come la «Mantovani costruzioni», orbita Comunione e Liberazione, di Piergiorgio Baita. L’azienda è presente in tutte le grandi opere del nordest e Galan [la cui ex segretaria, Claudia Minutillo risulta nel cda della Adria Infrastrutture con sede a san Marino e presente in tutte le grandi opere a nordest] scrisse che il sistema del project financing se l’era fatto spiegare proprio da Baita [per altro uno dei protagonisti della tangentopoli anni ’90].
C’è un mondo di banche [banca Intesa in primis], fondi immobiliari [Palladio finanziaria], corporation [Benetton] che si sono lanciate nelle concessioni autostradali. Possedere autostrade è un affare: i margini di redditività sono, secondo l’economista Riccardo Gallo, dell’ordine del 52 per cento mentre la media delle imprese industriali viaggia intorno al 6 per cento. E’ così che una fetta importante di capitali viene immobilizzata in autostrade invece che creare impresa e lavoro [come insegna la storia del gruppo Benetton].
Le banche preferiscono finanziare – o partecipare direttamente – l’acquisto di quote delle società autostradali o la realizzazione in project di nuove tratte: un affare sicuro, mentre migliaia d’imprenditori quando hanno bisogno di finanziamenti rimangono a bocca asciutta [mentre le vestali del libero mercato come Confindustria, o gli opinionisti mainstream sembrano appisolati]. Quando una concessione va in scadenza nessuno vuole mollare la presa, si progetta una nuova opera – la Valdastico nord per l’autostrada Serenissima, la Nogare Mare e il Gra per la Venezia Padova – per continuare per qualche altro giro la corsa. L’utilità pubblica delle opere non è il criterio principe della scelta.
In realtà non c’è bisogno delle inchieste della magistratura – comunque benvenute – per denunciare in Veneto la presenza e l’onnipotenza di un sistema consolidato di scambio tra politica e grandi gruppi privati. I grandi appalti vengono realizzati attraverso il «project financing», cosi come i grandi affari immobiliari, da Verona Motor City a Veneto City, al Quadrante Tessera a molti altri meno noti. Sono frutto degli «accordi di programma» [e degli accordi privati] con cui vengono approvati i «progetti strategici» e, in generale, l’urbanistica «contrattata», il grimaldello introdotto con la legge urbanistica regionale n.11 /2004 che assegna alla giunta regionale il potere decisionale [ed in particolare al super-assessore alle infrastrutture Renato Chisso] al di fuori da qualsiasi programmazione pubblica.
Con l’articolo 6 della nuova legge urbanistica, la Regione Veneto fa esplicito invito ai privati a partecipare all’iter formativo dei nuovi piani urbanistici, sollecitandoli a presentare progetti ed iniziative “di rilevante interesse pubblico” che attraverso la formula degli “accordi tra soggetti pubblici e privati” possano divenire “parte integrante dello strumento di pianificazione” cui accedono. È scontato che quando nella legge si parla di «privati» si fa riferimento ai potenti gruppi imprenditoriali e finanziari che traggono profitto dalle trasformazioni territoriali. Il Veneto è del tutto privo di strumenti di programmazione e pianificazione, ed è così che le scelte non si fanno nelle sedi pubbliche, ma in ristretti circoli. «È evidente – scriveva l’architetto Carlo Costantini in tempi non sospetti – che questo metodo garantisce molto meglio il sistema, evitando la concorrenza di soggetti esterni e la necessità di bandire gare, consentendo – nel silenzio se non nel plauso pressoché generale del sistema politico, ma anche delle organizzazioni imprenditoriali e degli ordini professionali – di affidare le opere ai soliti noti».
Non sappiamo se l’arresto di Brentan rappresenti il via ad una nuova tangentopoli veneta. O piuttosto rimarrà lui, «mona», con il cerino acceso mentre i compagni di tante avventure continuano la loro corsa. Presidente della «nuova» società Venezia – Padova è stato nominato l’industriale Rino Mario Gambari, industriale bresciano, socio dal 2006 della società Serenissima Brescia – Padova e protagonista della sfortunata storia di Infracom, società del gruppo Serenissima che ha accumulato negli anni un buco colossale. Vice presidente il già citato Piergiorgio Baita, e poi nel consiglio d’amministrazione Stefano Cerri, amministratore delegato del gruppo Astaldi, Giampaolo Chiarotto proprietario della Mantovani e Bruno Binasco, top manager del gruppo Gavio.
Un consiglio tutto nuovo, privatizzato e pronto per i consueti piani: nuovi progetti autostradali in projet financing. Un sistema dove non rischia nessuno: le banche anticipano, i privati concorrono – senza troppi concorrenti e controlli – e gestiscono i pedaggi ritornando così dei debiti contratti con le banche. Se il rientro non è nei tempi previsti – il traffico non è all’altezza delle aspettative – il pubblico ripiana, come ha fatto al regione nel 2009 con il Passante. E lo stato, con un provvedimento di Tremonti dell’anno scorso, ha anche garantito sconti fiscali.
Con il suo arresto qualche opinionista ha preso coraggio e ripetuto quello che minoranze sparute gridano nel desolato Veneto da anni: c’è un sistema collaudato affari – politica che sta distruggendo l’ambiente e la democrazia. Notiamo come nessuno abbia alzato un sopracciglio quando il Passante di Mestre ha registrato una lievitazione dei costi del 60,62 per cento. All’opera i soliti noti.
Le soluzioni infrastrutturali scelte in questi anni – la Pedemontana, il Mose, o il Passante… – sono sempre state quelle a più alto impatto economico e ambientale e che, insieme, permettevano una circolazione più opaca – vedi la legislazione d’emergenza nel caso del Passante e della Pedemontana o comunque l’utilizzo del project financing – del denaro pubblico.
Le inchieste non bastano, come insegna la storia di tangentopoli, e nemmeno le prediche sula moralità personale: servono una nuova etica pubblica e un nuovo modello di sviluppo. In poche parole, una rivoluzione.
febbraio 2012 – Il Corsaro