Il frigorifero lo porti a casa senza sborsare una lira, comincerai a pagare dopo 6 mesi, una vita. Già che ci sei il telefonino nuovo, il computer per il figlio e il servizio di piatti nuovo che proprio non può aspettare. Per pagare c’è tempo. E’ quando quel tempo arriva che iniziano i problemi.
Sono duecentocinquanta le famiglie del veneziano che in questi 3 anni si sono rivolte allo sportello per l’eccessivo indebitamento gestito dalla Mag di Venezia e supportato dal Comune di Venezia. «’Ho bisogno di soldi’, esordiscono quando arrivano qui, ma qui non diamo soldi» racconta Mara Favero, direttrice della Mag e operatrice allo sportello.
Le persone che arrivano allo sportello della Mag, spesso carichi di una decina di posizioni debitorie da una cinquantina di euro ciascuna, più che di soldi hanno bisogno di fare un po’ di chiarezza. «Quando insieme cominciamo a chiarire la situazione – raccontano gli operatori – ed enumerare i debiti che hanno contratto, si dimostrano increduli. Ce ne vuole prima che si rendano conto di essere stati loro gli artefici del loro debito».
«Quando iniziano a contrarre debiti per pagare debiti vuol dire che la situazione è andata fuori controllo – racconta Giorgio Fiorese, operatore anche lui dello sportello -, e quando arrivano da noi consigliati dai servizi sociali o per loro iniziativa, sono già alla canna del gas».
Un potente incentivo all’indebitamento è rappresentato dalle carte di debito che quasi tutti i centri commerciali – da Auchan al Lidl – hanno emesso in questi anni. Carte da 50mila euro con cui puoi fare la spesa e un debito da restituire con rate mensili. «E’ facile entrare nel gorgo, fai la spesa senza renderti conto, gli interessi arrivano al 20 per cento – spiega Fiorese -, accumuli più carte e in poco tempo non controlli più la situazione, non riesci a stare dietro alle rate e la frittata è fatta. Ne vediamo molti che si sono rovinati così».
Come il signore di 70 anni condotto allo sportello dalle figlie spaventate dalle continue telefonate delle finanziarie che reclamavano la restituzione dei soldi. Davanti ai loro occhi increduli ha estratto una alla volta la decina di carte da lui collezionata. «Mica cose folli – raccontano gli operatori – la spesa da portare a casa alle figlie, i regalini ai nipoti. Un tenore di vita comunque non sostenibile per un pensionato».
«Quando abbiamo cominciato pensavamo di offrire una consulenza informativa su una gestione finanziaria oculata e sostenibile – ci dice Mara Favero -, non pensavamo di trovarci di fronte ad una folla di persone che perdono completamente il controllo delle loro spese». Una pervasiva e vistosa dissociazione tra desideri e possibilità: il godimento prodotto dal consumo non è dilazionabile, «tutto e subito» è la richiesta imperativa. Un dramma che s’incarna nella vita di ricchi e poveri, imprenditori e operai «costretti» a migrare tra uffici delle finanziarie o bar dove incontrare l’agente freelance e rimediare l’ennesimo prestito. La motivazione ufficiale è l’auto nuova o il frigorifero, in realtà l’urgenza è avere denaro al più presto per far fronte alle rate che si accumulano, agli interessi che fanno schizzare il debito alle stelle, per sopire l’angoscia che divora. Hanno fretta, ma più veloce è la pratica più alta è la commissione. Così non se ne esce. E infatti, da soli, non ne escono.
Dall’altra parte del mondo Arputham Jockin, leader di una grande organizzazione di abitanti degli slum indiani, impegnata per i diritti e la dignità dei più poveri, predica il risparmio come pietra angolare delle attività dell’associazione, «concepito come un qualcosa di simile a un pratica spirituale, il risparmio quotidiano – e la sua diffusione – è percepito come la chiave per il successo locale e globale del modello della federazione» scrive a proposito di questa esperienza l’antropologo indiano Arjun Appadurai.
«Quando nel 2008 con la crisi sono fioccate le casse integrazioni il processo non si arrestato – raccontano gli operatori -, molti fanno i salti mortali pur di non cambiare stile di vita, per non dover porre dei limiti ai desideri dei figli, a rinunciare alla maglietta firmata». Le banche, e le finanziarie, non chiedevano la minima garanzia. «Allora bastava essere titolare di una pensione d’invalidità per accedere al prestito – ricorda Fiorese -, solo negli ultimi tempi le cose sono un po’ cambiate».
L’Italia è considerata «arretrata» nel settore del debito al consumo: secondo i dati della Banca d’Italia «le passività finanziarie delle famiglie ammontano al 70 per cento del reddito disponibile, contro ad esempio il 100 per cento della Francia e il 132 per cento degli Stati uniti» ma «nell’ultimo decennio si sta consolidando un trend crescente nel tasso d’indebitamento». Del «fallimento» delle famiglie americane, oberate dai mutui subprime, si è parlato molto accendendo i riflettori sull’«economia del debito» al cui movenze le famiglie italiane si stanno rapidamente adeguando: a fine 2010 l’indebitamento medio delle famiglie, secondo la Cgia di Mestre, era salito a 19mila euro, 3268 euro in più del dicembre precedente. Le sofferenze sui prestiti bancari [dati Bankitalia] sono cresciute del 49 per cento, sui crediti erogati dalle società finanziarie del’88,8 per cento. Un processo facilitato, ed insieme indotto, dal fatto che il settore dei crediti alle famiglie [credit retail] sia definito dalle banche come «un mercato in espansione – sono parole di Giuseppe Zadra fino al 2009 direttore generale dell’Associazione banche italiane – nel quale implementare nuove tecniche per favorire l’accesso al credito a individui prima considerati rischiosi [sic!]».
Che in un panorama del genere faccia capolino l’usura, quella spudoratamente cattiva, quella dei circuiti criminali, non deve stupire nessuno. «Abbiamo incontrato diversi casi – raccontano allo sportello -, anche se c’è molto pudore a confidare un problema del genere. Ci sono capitati anche casi di immigrati che avevano contratto debiti con ‘connazionali’ e abbiamo capito che erano debiti da restituire al più presto, che dovevano avere la precedenza». D’altronde il mercato del debito è un’occasione ghiotta, «sappiamo del caso di una persona – raccontano – che con i soldi della liquidazione ha intrapreso un’attività di prestito tra i conoscenti e i vicini». Da sempre vittime e carnefici abitano lo stesso condominio.
Mettere gli indebitati di fronte alla realtà dei numeri: questo fanno gli operatori dello sportello. E poi accompagnare la persona ad individuare le priorità – «prima di tutto le bollette e l’affitto, le finanziarie elle banche aspettano» sottolineano gli operatori dello sportello – a rinegoziare il debito con banche e finanziarie in modo da uscirne prima e con meno danni possibili. Solitamente le finanziarie hanno bisogno di liquidità e chiudono il contenzioso con l’offerta di una cifra concordata.
Dalle storie degli indebitati vediamo bene come il liberismo ha forgiato un immaginario che ha plasmato la nostra soggettività: la dissipazione smisurata, anche di quello che non si possiede, ci riconsegna individui spauriti e disorientati, letteralmente «in debito» con i più forti. Niente di meglio per assicurare ai pescecani del neoliberismo di continuare indisturbati il loro banchetto. Gli indebitati non possono divenire indignati: lottare contro le ingiustizie, l’impoverimento dettato dalla crisi, la perdita dei diritti presuppone l’esistenza di individui liberi. Come gli abitanti degli slum di Mumbai.
Ottobre 2011 – Carta