Il primo giorno di scuola, il 20 settembre, non troveranno né banchi
né lavagne, ma non è l’effetto dei tagli della Gelmini. I bambini
bolognesi che inaugureranno la nuova scuola libertaria porteranno da
casa una valigia con quello che loro ritengono essere essenziale per
una scuola come si deve. «Non ci sarà nulla di predeterminato, se i
bambini pensano che in una scuola ci debbano stare i banchi
costruiremo insieme dei banchi – racconta Gabriella Prati, una tra le
promotrici -, se invece penseranno ad un tappeto sceglieremo insieme
un tappeto. Il principio è che i bambini sanno che cosa ci vuole per
la loro scuola e per viverla al meglio, basta prenderli sul serio».
Mosse dal medesimo principio – i bambini non sono pericolosi selvaggi
da mettere in riga o teste vuote da riempire, ma persone da trattare
con il rispetto dovuto – le scuole libertarie sono esperienze che in
Italia stanno muovendo i primi passi, ma che in molti paesi – come
Gran Bretagna, Nuova Zelanda, Israele, Brasile, Danimarca –
rappresentano una realtà consolidata da decenni.
La scuola inglese Summer Hill, nasce nel lontano 1921 ed è tuttora il punto di
riferimento per i sostenitori di questo modo di fare scuola. Gli educatori libertari – o democratici come si chiamano all’estero, qui l’aggettivo democratico suona un po’ vuoto – si muovono tra le pagine di Ivan Illich e la pratica quotidiana del fare scuola.
«Precedenza all’apprendimento piuttosto che all’insegnamento, alla fin fine il
nucleo centrale dell’educazione libertaria può essere sintetizzato
così – racconta Francesco Codello, preside di un istituto comprensivo
nel trevigiano e uno degli animatori della rete italiana per
l’educazione libertaria -, è il bambino ad essere al centro e non
l’istituzione, le sue gerarchie e i suoi riti. I bambini, se messi
nelle condizioni di non dover subire delle costrizioni, acquisiscono
responsabilità e capacità di scelta rispetto alle questioni che li
riguardano direttamente».
A Verona per i 43 bambini della scuola Kiskanu le lezioni hanno avuto
inizio lunedì 13 settembre come nel resto del Veneto, ma con qualche
differenza. «Quando i bambini arrivano a scuola si comincia
scambiandoci i pensieri e i sogni della notte e del pomeriggio
precedente – racconta Giulio Spiazzi maestro e membro del collettivo
di studio Kiskanu – la lezione, che poi è sempre basata sul dialogo e
la discussione, inizia piano piano, quando si comincia ad affiatarci e
intenderci e prendendo spunto dalle cose che emergono nei racconti».
Così l’attività scolastica inizia, e continua, con le domande e le
esperienze dei bambini, apartire dai lori dubbi, che sarebbero
giudicati magari come lacune nella scuola statale. Gli orari della
scuola veronese sono simili a quelle delle scuole statali, ma i tempi
di queste scuole e dell’apprendimento dei bambini, sono ovviamente
diversi da quelli scanditi dal programma ministeriale. A Verona tra le
materie «normali» si fa spazio l’attività manuale come tessitura e
lavoro a maglia oltre all’insegnamento del farsi [persiano] e del
wolof [lingua diffusa in Senegal].
La realtà veronese, attiva da 6 anni, è quella più consolidata.
«Formalmente ci appelliamo al definizione giuridica della ‘educazione
parentale’ prevista dalla legge italiana» racconta Spiazzi. In
pratica, secondo la legislazione italiana, i genitori possono
dichiarare che baderanno in proprio all’educazione del figlio. Le
famiglie che intendono avviare una scuola libertaria, fanno questa
dichiarazione, e quindi si consorziano e scelgono i maestri. Lo stato
ovviamente, tramite il circolo didattico competente controlla, con
esami annuali. Malgrado la frequenza di questo tipo di scuole abbia un
costo perché non vi sono sovvenzionamenti statali o di altro genere –
a Verona la retta è di 280 euro mensili più 260 di iscrizione annuale
– l’estrazione sociale delle famiglie è molto variegata.
«In alcune realtà all’estero, come in Israele o in Inghilterra,
funzionano delle modalità molto avanzate in cui i bambini scelgono i
maestri – racconta Codello -, non c’è l’obbligo di frequenza e
l’assemblea generale, in cui tutti hanno diritto di parola e di voto,
bambini e adulti alla pari, decide su tutto, in altre realtà le cose
funzionano diversamente».
Bambini che scelgono i maestri? La cosa ci fa sobbalzare: cos’è questa
scuola libertaria?
«I genitori ogni tanto si chiedono se i loro bambini passeranno il
tempo a ballare e cantare – racconta divertita Gabriella Prati -,
ovviamente non è così, i bambini imparano a ‘leggere, scrivere e far
di conto’, ma siamo tutti legati al concetto che imparare significa
costrizione e noia e se i bambini a scuola stanno bene vuol dire che
non imparano abbastanza. Sono tutti stereotipi difficili da superare».
«Chiunque conosca un minimo i bambini sa benissimo che hanno un
intuito formidabile riguardo l’autenticità di una persona, non
scelgono chi li fa solo giocare o divertire, come pensa qualcuno,
scoprono subito chi vuole mettersi in buona luce con loro a tutti i
costi – sottolinea Codello -, e sono bravissimi a percepire
l’autorevolezza e la professionalità. Cose che tu devi mettere in
gioco senza il paravento dell’istituzione o della gerarchia».
«A Verona un po’ alla volta vogliamo arrivare a superare
l’obbligatorietà della frequenza – racconta Spiazzi -, già i bambini
più grandi possono cominciare a scegliere le lezioni e autogestirsi un
percorso di studi». E una volta al mese i bambini e gli adulti si
riuniscono in assemblea per discutere della gestione della scuola e
dirimere le controversie. «Di solito uno dei ragazzi più grandi, di 13
anni, assegna gli interventi e regolamenta i tempi, ma sono bambini
abituati a discutere lo fanno anche nelle ore di lezione – ci dice il
maestro veronese – e non è un grosso problema alla fine accordarsi
sugli spazi di gioco o sui diverbi che possono essere accaduti».
«Sicuramente funzionerà meglio di molte assemblee di condominio» ci
viene da pensare.
In Umbria sta muovendo i primi passi – è proprio il caso di dirlo – il
«progetto mukti» per cui ad Assisi aprirà nelle prossime settimane un
asilo nido per una decina di bambini. «Puntiamo ad aprire una scuola
primaria – racconta Ilaria -, quello dell’asilo è un primo passo visto
che i genitori interessati hanno bambini piccoli. Nei paesi, dove c’è
ancora una rete comunitaria, il discorso su questo tipo di educazione
è più facile da comunicare – riflette Ilaria -, nella città come
Perugia c’è più diffidenza. D’altronde occorre adattare il progetto
alle condizioni del contesto, in Germania i genitori sono abituati ad
essere più coinvolti nella vita scolastica, qui è più difficile».
Contrari al dogmatismo, gli attivisti della rete per l’educazione
libertaria – il coordinamento che in Italia sta promuovendo e aiutando
le diverse realtà locali – non abbracciano un unica metodologia
didattica, «cerchiamo di prendere il meglio delle diverse metodologie
o didatti di riferimento – sottolinea Codello – dalla Montessori a
Neil, al metodo steineriano, senza farne delle dottrine, ma con un
approccio aperto e sperimentale».
In realtà tracce ancora molto vive
di queste sperimentazioni si colgono anche nella disastrata scuola
statale gelminiana, è proprio impossibile contaminarla, è necessario
costruire altre scuole? «C’è stata una grande ondata di rinnovamento e
sperimentazione nella scuola pubblica – riflette Gabriella Prati, che
ha alle spalle trent’anni di esperienza nell’educazione -, poi
l’istituzione si è presa la sua rivincita. Proprio per l’impossibilità
di influire sull’assetto della scuola statale si moltiplicano i
tentativi di far nascere le scuole libertarie».
Da Catania a Roma, da Parma a Casette D’Ete nelle Marche, da Perugia a
Parma si moltiplicano i gruppi promotori che stanno cimentandosi tra i
mille problemi e gli innumerevoli entusiasmi che comporta la
«fondazione» di una scuola.
E’ possibile rendere «inutile» la Gelmini e crescere felici?
Settembre 2010 Carta