Le organizzazioni criminali in Veneto “hanno approfittato di un’insufficiente attività di prevenzione e contrasto per mimetizzarsi nel tessuto economico attraverso un rapporto di convergenza di interessi con il mondo delle professioni e dell’impresa”. E’ stato uno dei passaggi su cui più si è lavorato, ancora nel tardo pomeriggio di ieri, per raggiungere l’unanimità per l’approvazione delle oltre 800 pagine di relazione della Commissione parlamentare antimafia presieduta dall’onorevole Rosy Bindi. Il giudizio della Commissione parlamentare sulle attività della magistratura veneta è duro anche nel passaggio in cui si sottolinea come strumenti di prevenzione e repressione “che hanno prodotto risultati significativi in altre regioni del nord, qui non sono stati utilizzati in maniera sistematica e intensa”. La differente valutazione da parte delle procure venete e calabresi dell’operato degli stessi soggetti recentemente arrestati e risultati residenti nel padovano è l’esempio che è stato discusso nella Commissione: per i giudici calabresi abbiamo di fronte soggetti operativi nell’ambito delle strategie ‘ndranghetiste, mentre la magistratura veneta ha giudicato le stesse persone solo per i singoli reati commessi.
Il nordest ha ricevuto comunque una particolare attenzione: per la prima volta la relazione della Commissione dedica delle parti specifiche alla situazione in Veneto e in Friuli. D’altronde in questi territori “l’insediamento mafioso appare strategico anche perché la peculiare collocazione geografica favorisce i rapporti tra mafie italiane e mafie straniere”.
Ricordiamo che al Veneto la Commissione ha dedicato una missione nell’aprile del 2015 terminata a Verona – città amministrata allora dal sindaco Flavio Tosi – con una richiesta a Prefettura e al locale Comitato per la sicurezza di valutare l’istituzione della commissione d’accesso per il comune scaligero, il primo passo della procedura che porta allo scioglimento dell’amministrazione per infiltrazioni mafiose. Una richiesta clamorosa: per la prima volta in Veneto un organo istituzionale ipotizzò una liason tra organizzazioni criminali e pezzi della politica e dell’amministrazione. La richiesta non ebbe seguito, ma la Commissione oggi sottolinea come al nord, anche in Veneto, l’attività delle mafie è stata “favorita dalla sottovalutazione diffusa tra istituzioni e autorità competenti e che per troppo tempo non si sono utilizzati in modo adeguato strumenti fondamentali come le interdittive”.
Una parte consistente della relazione è dedicata ad una disanima della mutazione in corso nell’operatività delle mafie. Mutamento che vede da una parte un “progressivo allargamento del raggio d’azione delle mafie in territori diversi da quelli di origine storica” e dall’altra l’assunzione di “profili organizzativi più flessibili, spesso reticolari, con unità dislocate su territori anche lontani e dotate di autonomia decisionale”. Le mafie avrebbero accentuato, secondo l’analisi della Commissione, la vocazione imprenditoriale privilegiando l’intervento nelle economia illegali e mettendo in luce la capacità di fare rete promuovendo “relazioni di collusione e complicità con attori della cosiddetta «area grigia» (imprenditori, professionisti, politici, burocrati e altri)”.
Le mafie potrebbero insomma contare, oggi più che in passato, “su risorse di capitale sociale, vale a dire su risorse di tipo relazionale, che derivano da rapporti di collusione, scambi corruttivi e «alleanze nell’ombra»”.
I settori economici d’intervento sono ancora quelli tradizionali come l’edilizia, il commercio, la sanità e i trasporti, mentre tra le “nuove” attività troviamo “la grande distribuzione commerciale, i settori dei rifiuti, delle energie rinnovabili, del turismo e delle scommesse e sale gioco, i servizi sociali e dell’accoglienza dei migranti”. Più mobili e flessibili e in grado di tessere network internazionali i mafiosi non sembrano mostrare tanto i tratti di capaci imprenditori, ma le ragioni del successo economico vanno rintracciate piuttosto “nel fatto che possono contare sul sostegno, la cooperazione e le competenze di altri soggetti che intrattengono con i primi scambi reciprocamente vantaggiosi”.
Da una parte di mafie in mutazione capaci di stare al gioco di processi economici diversificati e, dall’altra, una società ed una economia sempre più disponibile e sensibile all’offerta di illegalità formulata dalle organizzazioni criminali: sembrerebbero questo i tratti che emergono dall’ampio affresco offerto oggi dalla relazione della Commissione parlamentare antimafia.