Il dirigente della Regione del Veneto Fabio Fior è stato condannato a tre anni, l’altro ieri, in rito abbreviato, dal giudice per le udienze preliminari del Tribunale di Venezia. L’ex assessore regionale all’Ambiente Giancarlo Conta è stato rinviato a giudizio, con prima udienza fissata per il 20 gennaio 2016, con numerosi altri imputati, tra i quali Maria Giovanna Piva, rodigina, ex presidente del Magistrato delle Acque.
Confermata così l’ipotesi accusatoria della procura veneziana secondo cui Fabio Fior, dirigente regionale che a lungo si è occupato della questione rifiuti, membro della Commissione di Valutazione d’Impatto Ambientale e della Commissione Tecnica Regionale dell’Ambiente, suggeriva alle ditte che richiedevano autorizzazioni per progetti di impianti di trattamento rifiuti o discariche di farsi incaricare come collaudatore. In questa veste suggeriva le modifiche necessarie a concludere l’iter della pratica. Per questo servizio il dirigente si faceva pagare «compensi sproporzionati rispetto all’attività svolta», ma promettendo «una sorta di protezione istituzionale». Colpisce che ad approfittare di questo oneroso «servizio» – un vero e proprio taglieggiamento secondo quanto emerge dalle carte giudiziarie – siano state anche società pubbliche come la Sesa di Este, la Veritas di Venezia o la Etra di Cittadella. Per poter condurre questo molteplice ruolo Fior avrebbe goduto di coperture istituzionali garantite dal dirigente all’ambiente Roberto Casarin e dall’ex assessore Renato Chisso.
Da quel che emerge dalle indagini, l’Ing. Fior sarebbe stato inoltre il socio occulto (tramite fiduciarie e/o prestanome) di alcune società, l’ultima in ordine di tempo la EOS Group s.r.l., che fornivano il servizio di “controllore terzo e indipendente”.
Sostanzialmente, sulla base di alcune normative nazionali e, soprattutto regionali – emanate durante il periodo in cui Fior ricopriva un ruolo di primo piano all’interno del Settore Rifiuti della Regione – molti impianti di trattamento e smaltimento rifiuti hanno dovuto dotarsi di questa figura, spesso pagata direttamente dal gestore dell’impianto.
Ci si preoccupa soprattutto dell’operatività delle imprese criminali, ma si rischia di perdere di vista il funzionamento (o meno) di istituzioni, amministrazione, politica, controllori, ispettori. La minaccia non viene tanto dal mondo del crimine, ma dal sistema troppo spesso caratterizzato da acquiescenza, malafede e corruzione morale e materiale che alligna all’interno delle istituzioni. La criminalità ambientale sembra così in grado non solo di operare con profitto nei settori ad alto impatto (edilizia, movimento terra, rifiuti, rinnovabili ecc.), ma di alterare dei principi e delle normative di tutela ambientale connesse alla corruzione (di amministratori pubblici, professionisti e funzionari incaricati di rilasciare autorizzazioni o di effettuare controlli), fino all’area grigia dell’impresa e delle professioni (produzioni inosservanti dei vincoli, professionisti e tecnici conniventi) e alla cosiddetta legalità debole.