Intervista uscita qui, a cura di Simone Grillo
Gianni Belloni è un giornalista professionista, specializzato in tematiche ambientali e coordinatore dell’Osservatorio Ambiente e Legalità, organismo nato dalla collaborazione tra Legambiente Veneto ed Assessorato all’Ambiente e Città Sostenibile del Comune di Venezia.
L’Osservatorio promuove la conoscenza dei fenomeni delle ecomafie e della criminalità ambientale, cercando di favorire la collaborazione di tutti i soggetti (istituzionali e non) interessati alla tutela dell’ambiente ed alla promozione dei beni comuni, offrendo analisi e proposte per favorire la preservazione dell’integrità del territorio dalle aggressioni criminali.
In questa intervista abbiamo voluto chiedere l’opinione dell’Osservatorio sui temi della legalità in Veneto, analisi che oggi non può prescindere dallo “Scandalo Mose” ma che richiede soprattutto la volontà di individuare risposte per affrontare adeguatamente il tema della corruzione, non solo in Veneto.
1. Come è nato e di cosa si occupa l’Osservatorio Ambiente e Legalità?
L’Osservatorio nasce due anni fa quando l’assessore all’ambiente del Comune di Veenzia, Gianfranco Bettin, accoglie il progetto presentato da Legambiente di costituire l’Osservatorio e decide di supportarlo. Dopo sei mesi di «sperimentazione» abbiamo avviato le attività che non sono state poche. In sostanza ci occupiamo di promuovere ricerche ed analisi sui temi della criminalità ambientale – alcune ricerche già sono pubblicate sul sito nei quaderni che ogni quattro mesi editiamo, tra i dossier o nella collana ricerche dell’Osservatorio – e di promuovere informazione su questi temi attraverso convegni, incontri e presentazioni di libri. Un nostro «pallino» è stato fin dall’inizio quello della corruzione – due dei 4 quaderni fin’ora usciti sono dedicati a questo tema – che avevamo identificato come il «motore immobile» grazie al quale la criminalità ambientale diventa sistema. I fatti emersi recentemente sembrano averci dato ragione.
2.Come sta vivendo Venezia lo “scandalo Mose”?
Dobbiamo tenere presente che la città è stata in una parte non piccola «narcotizzata» dai finanziamenti del Consorzio che in questi anni ha finanziato un po’ di tutto, dalla Chiesa all’Università. Quindi non sono in molti quelli che possono tranquillamente sentirsi completamente estranei – ovviamente non parlo di responsabilità penali – dal «sistema» Consorzio. Un altro elemento da tenere presente è che l’emergere dell’inchiesta non è stato un fulmine a ciel sereno, erano questioni di cui si «chiacchierava» con insistenza da qualche mese. La minoranza che ha sempre contestato l’opera si sente confortata nelle denunce che aveva sempre fatto e che, giustamente, sta richiedendo che si vada alla radice del problema, ad esempio con una nuova legge speciale per Venezia che elimini il ruolo del Consorzio Venezia Nuova. La cosa peggiore che possa accadere è l’assuefazione e il pericolo che accada proprio questo si percepisce.
3. Lotta alla corruzione e promozione della trasparenza nei rapporti tra pubblico e privato, in realtà, sono da tempo questioni aperte anche per il Nord Italia. Rispetto al Veneto cosa ha registrato il Vostro Osservatorio in questi anni?
I diversi avvenimenti emersi – chiariamo che noi non abbiamo un ruolo investigativo e quindi facciamo i conti solo sulle cose che sono già oggetto di indagine – ci fanno capire che i sistemi corruttivi sono bene consolidati a diversi livelli. Non esistono solo il Mose o le grandi opere, ma una serie di sistemi, penso alle opere fluviali o alla gestione dei rifiuti, per cui sono solo alcune filiere di imprese vicine alla politica che ottengono i lavori. Il dato preoccupante è che esiste un segmento non trascurabile dell’imprenditoria che pensa di sopravvivere sul mercato solo tramite accordi sottobanco e la vicinanza con la pubblica amministrazione. Se a questo associamo amministratori che concepiscono la possibilità di carriera politica solo attraverso l’accumulo di risorse per pagare le campagne elettorali o le clientele e una pubblica amministrazione dove sono stratificati conflitti d’interesse, otteniamo una miscela davvero esplosiva.
4. Lo scorso 11 giugno avete reso noto il Vostro “Manifesto contro la corruzione, per i beni comuni e la democrazia”. In esso si trovano proposte rivolte al livello nazionale e locale. Ci spiega quelle di portata nazionale?
In realtà abbiamo cercato di calibrare le richieste sul livello regionale e locale. Sicuramente alcune richiedono il concerto con il governo centrale – come l’esclusione dell’utilizzo delle procedure straordinarie per quanto riguarda le grandi opere pubbliche -, e l’eccezione è la richiesta di «revoca della concessione e scioglimento del Consorzio Venezia Nuova».
5. Per quanto riguarda le misure più specificamente rivolte alla realtà veneta cosa proponete?
Si tratta di uno spettro ampio di misure che riguardano da un lato le procedure – e quindi l’applicazione della parte preventiva della legge Severino alla Moratoria a livello regionale delle opere in project financing, dalla richiesta di scioglimento della Commissione regionale Via e della Commissione regionale Vas all’introduzione di meccanismi vincolanti di partecipazione e trasparenza –, e dall’altro le politiche e quindi la necessità di una vera programmazione regionale nei diversi ambiti – cave, trasporti, energia …- per capire quali sono davvero le opere che servono a questo territorio ed una revisione della legislazione urbanistica regionale ora sbilanciata dalla parte delle iniziative dei privati.
6. Rispetto alle proposte che avete fatto si sta realizzando qualcosa? Come giudicate il recente decreto (Decreto legge 24 giugno 2014 n. 90) che ha rafforzato i poteri dell’Autorità Anticorruzione in materia di controllo sui lavori pubblici?
Siamo ben disponibili a confrontarci con la Regione sulle nostre proposte e sui programmi che sta portando avanti l’amministrazione regionale. Sicuramente il provvedimento che citi così come la nuova direttiva europea sulla valutazione d’impatto ambientale rappresentano degli importanti passi avanti. Dobbiamo però concentrarci anche sul piano delle politiche, oltre che su quello delle procedure. Le politiche delle grandi opere e le procedure d’urgenza sono di per sé «criminogene» perché provocano grandi concentrazioni di potere.
7. Quali iniziative metterete in campo nei prossimi mesi per realizzare gli obiettivi del vostro Manifesto?
Abbiamo già in programma alcuni dibattiti a settembre e speriamo che, come Libera, i Beati costruttori di pace e il Monastero del bene comune, altri soggetti vogliano «utilizzare» il manifesto come strumento utile di pressione politica.
8. Recentemente Lei ha collaborato alla stesura del volume “Mafie del Nord” (a cura di Rocco Sciarrone – Donzelli, 2014), scrivendo con l’antropologo Antonio Vesco un capitolo dal titolo eloquente: “Imprenditori e camorristi in Veneto”. Quali valutazioni avete fatto su problemi/possibili soluzioni?
Sinteticamente: la ricerca complessivamente – che ha riguardato sette regioni del centro nord tra cui il Veneto – ha cercato di analizzare l’operatività della criminalità organizzata nei territori di non tradizionale insediamento contestualmente alle dinamiche socioeconomiche dei diversi territori. Si è infatti notato che i contesti locali – la loro «accoglienza» nei confronti delle dinamiche criminali – sono decisivi per l’operatività delle mafie. Per quanto riguarda il Veneto questa dinamica è ancora più radicalizzata in quanto non solo vi sono culture imprenditoriali porose nei confronti dell’agire delle mafie e per le quali l’attore mafioso rappresenta una vera e propria risorsa, ma l’ipotesi è che esistano delle reti di criminalità economica autoctona che fanno in qualche modo da «argine» alle mafie. Nulla di consolante: che traffici illeciti, corruzione, saccheggio dei beni comuni sia opera di mafiosi o di criminali veneti non cambia la sostanza di un economia che per «stare al passo» cerca sempre più spesso collusioni o scorciatoie nell’illegalità.