Se pensate che una casa sia qualcosa di diverso di un complicato assemblaggio di muri, mobili e arredi, vale la pena che leggiate questa storia. La casa, anzi il condominio, in questione è in provincia di Padova all’estrema periferia ovest, verso Vicenza, quando la campagna comincia a sfrangiarsi grossolanamente incontrando i mobili confini della città. Ci vivono, da otto anni, diciotto famiglie di undici nazionalità diverse. E’ conosciuto come condominio Coralli, dal nome dalla cooperativa di cui gli abitanti sono soci e che ha avuto dal Comune l’assegnazione del terreno per la costruzione dell’edificio.
Un percorso lungo quello per arrivare a costruire e abitare il condominio. L’idea nasce nel 1990 quando a Padova, a Roma e a Brescia si assiste alle prime occupazioni collettive di case da parte degli immigrati. «Il 1990 è un anno chiave – ci racconta Pippo La Biunda, presidente della cooperativa -, gli immigrati si rendono visibili manifestandosi intorno al problema cruciale: quello del diritto all’abitare». Ed è da allora che matura l’idea di aggregare un gruppo di persone, immigrate e italiane, accomunate dal medesimo bisogno, disponibili a mettere in comune energie e risorse per risolvere il problema abitativo.
La cooperativa prende corpo nel 1994, grazie all’appoggio della sede locale dell’Unione Inquilini. «Dagli enti locali, amministrazione comunale in testa, nessun aiuto se non ostracismo» ricorda La Biunda. Grazie ad una certa dose di tenacia si arriva all’assegnazione dei terreni, al diritto all’edificazione, all’incarico ad una cooperativa di costruire l’edificio.
Costruire comunità
«Non è la costruzione materiale dell’edificio l’opera più difficile – racconta La Biunda – ma la costruzione di comunità. Noi infatti, come cooperativa, ci definiamo costruttori di comunità non di case». Ed il tempo per «costruire comunità» c’è stato: i lunghi anni passati a seguire le pratiche, battagliare con il comune, reperire i soldi necessari, condividere le linee progettuali dell’edificio sono serviti a conoscersi e a creare intesa.
“Le ho ben in mente ancora le pedalate di sera per arrivare alle riunioni, settimanali o quindicinali, della cooperativa” ricorda, sorridendo, Mariagrazia Sorci che ha partecipato al progetto fin dalla prima ora. Così come Mohamed Hatt, senegalese, che alle riunione della cooperativa padovana arrivava da Bassano dopo una faticosa giornata in fabbrica. Durante quelle riunioni i soci hanno anche partecipato alla progettazione del condominio condividendo scelte che poi sono rivelate fondamentali. “Abbiamo rinunciato ad un po’ di spazio per gli appartamenti per poter avere una grande sala e una cucina comune” racconta Mariagrazia. “Gli spazi sono fondamentali per aiutare a costruire condivisione” riflette Debora Landi, abitante anche lei del condominio Coralli. Il condominio Coralli, in effetti, contrasta con gli edifici accanto: più basso, si snoda quasi a ferro di cavallo avvolgendo, senza recinzioni, la piazzetta che diventa, soprattutto nei mesi estivi, il cuore pulsante del rione attirando i giochi dei bambini, anche quelli dei condomini vicini. Quasi una riedizione delle corti di campagna.
La scommessa è stata impegnativa, c’è voluto tempo, ma ora diciotto famiglie di italiani e di immigrati hanno un’abitazione stabile e fra un paio di mesi un altro nucleo di 24 famiglie troverà alloggio in un altro quartiere di Padova.
Nessuno è proprietario
«Un ingrediente fondamentale per fare comunità – ci dice La Biunda – è quello di mantenere indivisa la proprietà. Siamo l’unica cooperativa nel nordest dove nessuno è proprietario degli appartamenti. Questo ha creato problemi a diverse persone che non hanno retto questa dimensione. Per noi è un concetto irrinunciabile: quando sei proprietario chiudi la porta e isoli il tuo mondo, tutto quello che è fuori diviene una minaccia da sorvegliare e da cui difendersi. In questo modo, invece, ciascuno diviene responsabile degli spazi comuni e si fa carico della loro cura». La proprietà è, tutta intera, della cooperativa, i soci versano una quota per pagare il mutuo alla banca e per la manutenzione dell’edificio. I figli dei soci, in caso di morte, ereditano l’assegnazione dell’appartamento.
I lavori di manutenzione vengono autogestiti: dalla tinteggiatura a piccoli lavori in muratura, la cura del giardino e degli orti. La partecipazione di tutti alle assemblee è l’altro elemento su cui si è basato il rapporto di reciproca fiducia tra gli abitanti. Lì vengono prese le decisioni sulla conduzione del condominio, sui lavori da fare e sui problemi che emergono. Insieme è stato costruito il forno all’aperto per le grigliate e per la cottura del maialino da latte, ingrediente indispensabile per i festeggiamenti, da parte degli inquilini serbi, della pasqua ortodossa. Grazie all’iniziativa di Mohamed, che ha attivato un servizio del comune, tutti i pomeriggi, nella sala comune, è attivo un doposcuola aperto ai bambini del quartiere.
Responsabilità e condivisione
Giorgio Bettio, il consigliere comunale di Treviso che inneggiò ai metodi delle SS contro gli immigrati, scusandosi per la dichiarazione ha invocato, a mo’ di giustificazione, una pesante lite condominiale di cui è stata vittima la madre. Aldilà dell’episodio, e dell’impresentabile personaggio, è innegabile che i condomini rappresentano spesso la fucina di conflitti devastanti e regalano agli abitanti l’apparente consapevolezza che la convivenza sia impossibile.
Le difficoltà di inclusione si giocano spesso a livello di pianerottolo, più che di equilibri geopolitici. Persone stipate in condomini anonimi, martellate da una propaganda di odio e di paura, danno vita a coabitazioni insostenibili in cui ciascuno offre il peggio di sé. “Quando i miei compagni di lavoro mi raccontano cosa succede nei loro condomini, penso di essere proprio fortunato a vivere qui” ci racconta Massimo Baldin che vive con moglie e un figlio ai Coralli.
Non è il paradiso in terra
Conflitti ne avvengono anche ai Coralli. Conflitti interni ad una famiglia africana hanno comportato gravi problemi di convivenza che non si è riusciti a risolvere, la famiglia tra poco tempo inizierà il trasloco. «E’ stata una sconfitta per noi» racconta Debora Landi. Vivere ai Coralli implica assunzione di responsabilità e impegno non da poco. «Non sempre si è disponibili dopo una giornata di lavoro a fare delle cose insieme, tempo fa abbiamo promosso un cineforum ma non ci veniva nessuno» racconta Massimo Baldin. «Non siamo una comune, ciascuno ha i suoi legami e le sue abitudini» chiarisce sua moglie Debora Landi.
Ogni anno comunque viene organizzata una festa aperta al quartiere, due anni fa parteciparono in duecento – «come una festa dell’Unità, abbiamo lavorato come pazzi» ricorda La Biunda – e adesso si cerca di fare cose un po’ più alla buona. Periodicamente la cucina comune viene messa in funzione per delle cene condominiali. «Siamo entrati qui che già ci conoscevamo tra di noi, che avevamo fatto un percorso insieme e questo ha aiutato» racconta Mohamed.
Alla fine domandiamo il perché del nome: “I coralli sono composti da microrganismi diversissimi che costituiscono così, grazie alla loro diversità, un organismo bellissimo ” ci risponde La Biunda. Coltivare coralli, ecco un mestiere utile per queste terre sempre più tendenti al grigio.
Carta Estnord 2007